Pubblicata nel giorno dell’ultimo saluto, con i funerali che si son svolti nella chiesa di San Filippo Neri, nel centro storici di Torino. È stata resa nota oggi l’ultima lettera di Angelo Burzi, tra i fondatori di Forza Italia in Piemonte ed ex assessore regionale, che la sera del 23 dicembre scorso si è ucciso in casa. 

Burzi era stato condannato a tre anni dalla Corte d’Appello a Torino per la cosiddetta ‘Rimborsopoli’ e da sempre si riteneva vittima di accanimento giudiziario.

LA LETTERA INTEGRALE 

Ho vissuto splendidamente sino al compimento del mio 73mo compleanno. Poi, da settembre sono cominciati i problemi… la notizia delle udienze alla fine previste per il processo di appello ed un iniziale mal di schiena. Partiamo da questo e, abbreviando un percorso durato tre mesi, si arriva ad una Pet di fine novembre, ad una biopsia ed a una Tac tutt’altro che positive. Si preannuncia quindi un prossimo futuro di approfondimenti, di interventi chirurgici e di terapie per nulla gradevoli… panorama non certo entusiasmante, ma c’è di peggio.

La giustizia è un esempio appunto del “peggio”, non trascurando che lo scrivente è certo di essere totalmente innocente nei riguardi delle accuse a lui rivolte. Alla fine del processo di appello, 14 dicembre u.s., ho totalizzato una condanna a tre anni per peculato svolto continuativamente dal 2008 al 2012. I possibili sviluppi stanno in un possibile nuovo ricorso in Cassazione, che avrà con grande probabilità un esito nuovamente negativo, diciamo alla fine del 2022. E qui iniziano i problemi seri perché interverrà la sospensione dell’erogazione del vitalizio per la durata della condanna. Probabilmente si sarà fatta nel frattempo nuovamente viva la Corte dei conti pretendendo le conseguenze del danno di immagine da me provocato, diciamo non poche decine decina di migliaia di euro.

Conclusioni

Credo tutto ciò sia soggettivamente insostenibile, banalmente perché col vitalizio io ci vivo, non essendomi nel corso della mia attività politica in alcun modo arricchito, e sostanzialmente perché non sono più in grado di tollerare ulteriormente la sofferenza, l’ansia, l’angoscia che in questi anni ho generato oltre che a me stesso anche attorno a me nelle persone che mi sono più care, mia moglie, le mie figlie, i miei amici. Preferisco dare loro oggi, adesso, una dose di dolore più violenta, ma una tantum… poi la loro vita potrà ricominciare visto che hanno, contrariamente a me, una larga porzione di futuro davanti a sé, futuro che non voglio danneggiare o mettere a rischio con una inutile mia ulteriore presenza su questo palcoscenico.

Siccome arrendermi non è mai stata un’opzione, frangar non flectar, esprimo la mia protesta più forte interrompendo il gioco, abbandonando il campo in modo definitivo. Serve anche fare un non esaustivo elenco dei personaggi che maggiormente hanno contraddistinto in maniera negativa questa mia vicenda in quasi dieci anni. Dapprima i giudici del primo processo d’appello, i quali, con una sentenza che definire iniqua e politicamente violenta è molto poco, azzerarono la sentenza di primo grado che mi vide assolto per insussistenza del fatto dopo due anni di dibattimento in aula. Poi l’uomo nero, il vero cattivo della storia, il sostituto procuratore che dall’inizio perseguì la sua logica colpevolista, direi politicamente colpevolista. Essendo persona preparata e colta non si arrese rispetto alle assoluzioni del primo grado, ma appellandosi a sua volta ottenne la condanna nel successivo appello. Ancor più colpevole a mio avviso perché, conoscendo in dettaglio i fatti che mi riguardano, insistette nelle sue tesi. Infine trionfò pochi giorni fa con l’esito del rinnovato appello determinato dalle decisioni della Cassazione.

In questo caso con il contributo significativo del presidente e relatore della Corte, l’ultimo arrivato sulla scena, le cui motivazioni non sono ancora note, bisogna attendere i 90 giorni dalla sentenza, ma è evidente che ci ha messo molto del suo, probabilmente aggiungendo le sue valutazioni di ordine etico morale, del tutto soggettive e prive sia di sostanza che di sostenibilità giuridica, alle richieste dell’accusa. Se la procedura glielo avesse consentito, credo le avrebbe ampliate.

Desidero infine che il mio abbandono non sia in alcun modo connesso con il Natale, è solo dovuto alla concomitante assenza fisica di mia moglie, il che lo rende oggi praticabile. Spero però sia di esplicita condanna per coloro che ne sono stati concausa e di memoria per coloro che, leggendo queste poche righe, le potessero condividere. Importante anche non dimenticare il ruolo positivo della Presidente Bersano di Begey che svolse eccellentemente il suo non semplice ruolo durante il primo grado del processo, leggendo le carte disponibili, sentendo coloro che avevano titolo, distinguendo le spese per la loro inerenza al mandato dei consiglieri, condannando severamente i colpevoli ed assolvendo gli altri, fra i quali io stesso. Insomma facendo il giudice!

Me ne vado in eccellente forma psichica, abbastanza traballante in quella fisica, certo che questo mio gesto estremo sia l’unica strada da me ancora percorribile… la riduzione e la cessazione futura del danno! Siccome credo in Dio sono anche certo che Lui comprenderà e che quindi non passerò l’eternità tra le fiamme degli inferi.

Con sincerità,

Angelo Burzi

Ps: chi fosse destinatario di queste parole sappia di essere autorizzato a farne l’uso che crede. Ne posso rispondere solo io, che però non ci sarò più.

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