Per la guida suprema iraniana sembrerebbe che sia giunta l’ora fatale. All’interno del corpo dei guardiani della rivoluzione islamica c’è chi mette in guardia Ali Khamenei sulla possibilità di una guerra e sul pericolo di un crollo del regime. Secondo alcune fonti, alti funzionari iraniani presenti nel recente incontro ad alto livello per discutere la risposta alla lettera del presidente degli Stati Uniti Donald Trump hanno chiesto a Khamenei di cambiare la sua posizione contraria ai negoziati diretti con gli Stati Uniti, avvertendo che la minaccia di una guerra con Israele e l’aggravarsi della crisi economica potrebbero portare alla caduta del regime. Mentre Khamenei ha sempre, ripetutamente e pubblicamente, dichiarato che qualsiasi negoziato con Washington è proibito, perché, umiliante, disonorevole, imprudente e sciocco, c’è chi all’interno del clero e dei pasdaran ha assunto una posizione senza precedenti, chiedendo un cambio di rotta.

Il messaggio degli oppositori

Il messaggio degli oppositori di Khamenei all’interno dell’apparato di potere è chiaro: “Teheran deve consentire negoziati diretti con Washington, anche se non piacciono, perché non farlo metterebbe a repentaglio l’esistenza stessa del regime iraniano” dal momento che il paese sta attraversando una soffocante crisi economica, con un fortissimo calo del valore della sua moneta rispetto al dollaro e con gravissime carenze di carburante, elettricità e acqua. La Repubblica islamica ha sempre perseguito una doppia diplomazia, per ragioni propagandistiche, ufficialmente si esprime contro ogni negoziato con coloro che sono considerati come “Satana”, cioè gli Usa e Israele, ma di fatto è disponibile a trattare in gran segreto, non alla luce del sole e lontano dagli occhi delle telecamere.

Lo scenario in caso di fallimento

I pasdaran hanno avvertito che la minaccia di guerra con gli Stati Uniti e Israele è estremamente seria e che, se l’Iran si rifiuta di negoziare o se i negoziati dovessero fallire, saranno inevitabili attacchi militari ai suoi principali impianti nucleari di Natanz e Fordow. In questo caso, l’Iran sarebbe costretto a rispondere militarmente, il che potrebbe portare a una guerra su larga scala e a un ulteriore collasso economico, nonché a diffuse proteste interne e a scioperi. Khamenei, che da un po’ di tempo a questa parte vede contestata apertamente la sua leadership come non era mai accaduto, ha fatto marcia indietro sulle sue posizioni e sembra aver consentito l’avvio dei negoziati, ma con una prima fase da condurre in maniera “indiretta” e basata sulla mediazione e, solo se poi si dovessero ottenere progressi positivi, sarebbe favorevole a negoziati diretti tra iraniani e americani.

Il regime militare

Vi sono segnali che indicano che all’interno del corpo dei guardiani della rivoluzione vi sarebbe chi pensa addirittura ad un colpo di stato e a instaurare un regime militare molto simile a quello del Pakistan, una repubblica islamica con un presidente e un primo ministro, senza la figura della guida suprema. Il potere passerebbe a un militare che gestirebbe il paese. E c’è inoltre chi all’interno dei pasdaran, pensa al ritorno del figlio del deposto scià, Ciro Reza Pahlavi, una figura questa accettabile e rassicurante per la comunità internazionale; non vi sarebbe più una Repubblica islamica, ma un regime monarchico che rappresenti le due anime principali del paese: quella del nazionalismo persiano e quella della religione sciita. Il presidente Trump afferma di voler raggiungere un accordo sul nucleare più solido di quello che ha stroncato durante il suo primo mandato nel 2018. Ma con il programma nucleare iraniano più avanzato che mai, ciò è davvero possibile? Per Netanyahu, i negoziati con l’Iran sono una perdita di tempo. Teheran vuole un’arma nucleare, ha detto ai suoi collaboratori prima di volare da Budapest a Washington, e farà di tutto per ottenerla, persino se dovesse firmare un accordo in cui promettesse di astenersi dallo sviluppare una bomba. Invece di qualsiasi carota, ha aggiunto, agli iraniani dovrebbe essere presentato un grosso bastone militare.