Rifl ettori puntati sui minori a rischio in città
La lezione di Eduardo De Filippo sui ragazzi di Napoli ancora attuale dopo 40 anni
La cronaca è di ieri ma potrebbe essere quella di un qualsiasi giorno, nessuno si sorprenderebbe. Una velina della polizia riporta la notizia di un 17enne e di un 20enne, entrambi armati di coltello, con lama 12 centimetri, denunciati al corso Umberto, e di un ragazzo di 15 anni trovato in possesso di uno sfollagente telescopico e alla guida di una moto che non poteva guidare. Due minorenni arrestati in un sol giorno.
I dati su Nisida e Airola raccontano le storie di una sessantina di ragazzi, adolescenti o poco più, in contesti di povertà culturale, economica affettiva. «Giovanissimi con la morte nel cuore» dice Samuele Ciambriello, garante campano dei detenuti, che negli anni ‘80 partecipò al gruppo di lavoro che porrò alla Legge 41 del 1987, nota anche come Legge Eduardo, perché fortemente voluta dal grande De Filippo. Quella legge rese la Campania pioniera in fatto di interventi a sostegno della condizione giovanile, puntava a sostenere i ragazzi a rischio di emarginazione sociale e devianza. Dal 2006 quella legge non è più finanziata. Oggi il contrasto alla devianza minorile è affidato soprattutto all’iniziativa di singoli. Tra pochi giorni sarà presentato un breve film, il corto «Into your eyes», realizzato da un gruppo di ragazzi a rischio di San Giovanni a Teduccio.
Giovedì saranno consegnate ad Airola scarpe e maglie per tre giovanissimi, reclusi per reati anche gravi come l’omicidio, ma poveri e soli. Perché spesso devianza minorile e povertà viaggiano in parallelo nei destini segnati da scelte sbagliate, piccoli o grandi errori, alternative non sempre possibili. «Onorevole presidente, onorevole ministro, onorevoli colleghi….con tutto il da fare che ho avuto non ho trascurato di occuparmi dell’istituto Gaetano Filangieri di Napoli e dei ragazzi che, spesso a causa di carenze sociali, hanno dovuto deviare dalla retta via… Si tratta di migliaia di giovani e del loro futuro ed è essenziale che un’assemblea come il Senato prenda a cuore la ripartizione delle carenze dannose, e posso dire catastrofiche, che da secoli coinvolgono quasi l’intero territorio, dal Sud al Nord dell’Italia. Mi sono sempre domandato quale potrebbe essere il mio contributo affinché la barca di questi ragazzi, che sta facendo acqua da tutte le parti, possa finalmente imboccare la strada giustizia. Sono convinto che se si opera con energia, amore e fiducia in questi ragazzi molto si può ottenere da loro». Era il 23 marzo 1982 ma potrebbe essere ieri. A pronunciare queste parole fu Eduardo De Filippo. Era un figlio di Napoli che ce l’aveva fatta, lui. E Napoli la raccontava e la portava in scena ma soprattutto la amava con impegno concreto, e amava i figli di quella Napoli milionaria.
«Con quella commedia ponevo sul tappeto questioni che sul tappeto sono rimaste» disse con quel suo tono ironico e vero. E ancora sono sul tappeto. A distanza di quarant’anni ormai. Eduardo è sempre stato sensibile al tema della devianza minorile, con il suo modo guardare oltre e in profondità aveva intuito che per curare la città bisognava partire dai suoi figli. «I ragazzi di 11, 12 e 13 anni, che sono poi le vere vittime di una società carente come la nostra nei riguardi della gioventù – disse in quel marzo 1982 durante il suo primo discorso da senatore –, entrano nell’istituto in attesa di giudizio e vi restano spesso per anni e anni, in quanto o per la mole di lavoro o per l’asmatico meccanismo burocratico, i processi subiscono sempre lunghissimi ritardi e rinvii… E finalmente celebrato il processo, mettiamo che l’imputato venga assolto, dove si presenta una volta messo in libertà? Chi è disposto a dare fiducia e lavoro ad un avanzo di galera? Questa – aggiunse Eduardo – non è una domanda che mi sono posto io, che non conoscevo il Filangieri. È una domanda angosciosa che si pongono gli stessi ragazzi dell’istituto». Eduardo parlò poi della nave Caracciolo, enorme corazzata su cui i figli di marinai, pescatori e gran parte dell’infanzia abbandonata venivano ospitati per imparare un lavoro, a leggere e scrivere, avere la possibilità di entrare in contatto con altri popoli e altre civiltà.
«Non desidero una seconda nave Caracciolo – disse Eduardo in Senato –. Propongo invece di sollecitare il Governo affinché dia il via all’assegnazione al Filangieri di uno spazio in una località ridente su cui costruire un villaggio con abitazioni e botteghe dove i giovani, già avviati a mestieri e artigianato antico, possano abitare e lavorare, assaggiando il sapore del frutto della loro sacrosanta fatica, recuperando la speranza e la fiducia di una vita nuova…». Quanta attualità in queste parole! In tantissimi si proclamano per la Costituzione, parlano di giustizia riparativa, si definiscono non giustizialisti ma poi storcono il naso appena sanno che un minorenne accusato di un grave reato sta seguendo un percorso di recupero e reinserimento sociale, che frequenta una scuola calcio o un corso per diventare rapper. E il paradosso è evidente nella realtà oggi come quarant’anni fa.
Eduardo lo aveva evidenziato nel suo primo discorso da senatore, raccontando di aver visitato il Filangieri e aver notato «camere con doccia, cucina pulitissima, un accogliente ambiente per il tempo libero, un cortile molto vasto, un gruppo di ragazzi che va a lavorare fuori presso artigiani… C’è persino un teatrino… I ragazzi vengono curati e assistiti secondo principi umani e civili, istruiti e perfezionati ognuno nel mestiere da lui scelto». Peccato che dovessero, e devono tuttora, farlo passando per il carcere. Un grande paradosso.
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