L'Italia tra problemi veri e l'antifascismo d'antan
La lezione di Trump che ha riesumato quel “popolo” finito nel dimenticatoio: l’Europa deve specchiarsi nel suo trionfo
Filoamericani o antiamericani, sono almeno ottant’anni che noi europei (e noi italiani) ci specchiamo nelle cose che accadono sull’altra sponda dell’Atlantico. L’abbiamo fatto anche nei mesi della campagna per la Casa Bianca. Le opinioni pubbliche del Vecchio Continente hanno tifato in maggioranza per Kamala Harris, accodandosi al mainstream dei grandi media Usa, illudendosi che la prima democrazia del mondo non potesse davvero riportare sul trono un tycoon dal linguaggio violento, razzista dichiarato, il sobillatore dell’assalto a Capitol Hill, “un fascista”, come l’aveva apostrofato Harris. Invece ha vinto lui. E forse mai come oggi, per noi europei, è il caso di specchiarsi nel suo trionfo.
I perché della vittoria di Trump
Ha vinto Trump perché ha dato voce politica a un “popolo” di colletti blu, ceti medi, immigrati latinos, afroamericani, giovani, donne, che non trovava rappresentanza nel messaggio di Harris, che si è dimostrato sordo all’allarmismo dei progressisti, estraneo ai valori liberal e alla cultura woke, infastidito dalla pedagogia femminista di Obama, ostile alle ragioni geopolitiche della guerra europea e al suo costo finanziario. Un “popolo” senza confini di classe e senza cleavage etnici, che piuttosto chiedeva sicurezza nelle periferie urbane, difesa dalla concorrenza del lavoro illegale, protezione dagli effetti sull’occupazione dell’onda globalista, riduzione delle tasse. Trump ha vinto perché ha riesumato questo “popolo” dal dimenticatoio del discorso pubblico, ne ha fatto un protagonista, l’ha identificato con l’interesse nazionale. Con l’America First. L’ha contrapposto alla politica “corrotta” di Washington e all’egemonia altezzosa delle élite urbane, dell’intellighentia, dell’Ivy League.
La lezione della destra americana
É questa la lezione che viene dall’altra sponda dell’Oceano. La destra americana ha occupato le praterie elettorali che il partito di Biden e Harris aveva finito per lasciare incustodite e che oggi gli fanno perdere milioni di voti. Ha fatto quel che le classi dirigenti del Vecchio Continente stentano a comprendere, quel che soprattutto le sinistre europee si ostinano a non vedere, quello di cui i democrats italiani non vogliono neppure sentir parlare. Ha inteso liberare da un ghetto politico e culturale un pezzo maggioritario di società che oggi – uomini e donne, padri e soprattutto figli – sconta il rapido incrinarsi dello storico dominio mondiale dell’Occidente.
L’Italia tra problemi veri, reali e l’antifascismo d’antan
Anche in Italia esistono milioni di cittadini alle prese con la caduta del tenore di vita e con il blocco dell’ascensore sociale, sfortunati contribuenti che pagano le tasse per tutto il resto della popolazione, giovani che sono intrappolati da norme ipertrofiche e favoritismi clientelari, spiriti animali che non appartengono né alle fasce della povertà protetta, né alle élite della ricchezza. Ma non hanno voce in capitolo, non dispongono di un’offerta politica, spesso non vanno neppure a votare, non trovando rappresentanza in una sinistra di opposizione generosamente attardata nelle battaglie per i diritti, ingenuamente tenuta assieme da un antifascismo d’antan. Né trovano rappresentanza in una destra di governo che si limita alla (doverosa) difesa dei più deboli e sembra tuttavia incapace di valorizzare le energie migliori del paese, incapace di rompere uno status quo politico-sociale che nessuno, del resto, ha avuto il coraggio di mettere in discussione da molti decenni a questa parte.
C’è una bella differenza tra la retorica del MAGA e la pigra demagogia di destra e di sinistra di casa nostra. Se si volesse fare scandalo, si potrebbe concludere che, sì, in Italia (e in Europa) manca un Donald Trump. E che la vittoria del tycoon ha suonato la campana a morto non soltanto per i progressisti americani. Qualcosa dovrebbe suggerire anche alle torpide classi dirigenti del Vecchio Continente.
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