Si dice esattamente che il 25 aprile è la festa per la liberazione dal nazi-fascismo, la vittoria sul mostro che divorò l’Europa che l’aveva generato. Ma non è esatto dire che la Germania nazista, con i suoi alleati, è uscita completamente sconfitta dalla seconda guerra mondiale. Perché dalla guerra nei confronti degli ebrei d’Europa la Germania nazista, con i suoi alleati, è uscita completamente vittoriosa.
Né la fine della seconda guerra mondiale, con la sconfitta della Germania e dei suoi alleati, significò la restituzione alla vita di prima degli ebrei sopravvissuti allo sterminio. I quali – a decine e decine di migliaia – continuarono a restare nei campi addirittura per anni, perché non avevano nessun posto in cui tornare e nessun Paese che li accogliesse.
Non c’erano più gli aguzzini nazisti a presidiare quei luoghi, c’erano ormai i guardiani delle forze alleate, ma continuava a essere quello l’unico posto per gli ebrei: il campo di concentramento. Nel giro di qualche anno altri ebrei dei Paesi arabi e africani, a centinaia di migliaia, sarebbero stati espulsi e, pur derubati di tutto, non avrebbero fatto la fine degli ebrei d’Europa perché, a differenza di questi, avevano a quel punto un posto in cui andare: Israele. Anche lì, in Africa e nei Paesi arabi, la Germania coi suoi alleati fu sconfitta, ma questo non impedì che gli ebrei dei Paesi arabi e africani fossero perseguitati e cacciati. Dopo tre anni dalla “vittoria” sul nazi-fascismo.
La cosiddetta “apertura dei cancelli” dei campi di sterminio, nel 1945, non significò dunque la liberazione degli ebrei d’Europa dalla loro condizione di deportati, di apolidi, di ristretti nei luoghi che non erano più di sterminio, ma erano ancora di raccolta, baraccamenti per quella gente che non aveva più nulla a cui tornare. La liberazione dal nazi-fascismo e le celebrazioni di quell’evento non riguardarono gli ebrei o, quanto meno, riguardarono gli ebrei in modo molto diverso. Erano stati prelevati dalle case e dai ghetti e li avevano messi sui vagoni piombati. I sopravvissuti non avevano motivo, né posto, per associarsi a qualsiasi celebrazione. Se il 25 aprile del 1945 era anche, forse, “per” loro, sicuramente non era “con” loro. Non erano più sottoposti alla grinfia nazi-fascista, ma gli erano ancora precluse le porte dei paesi che festeggiavano la liberazione.