La notte amara di Granada ha offuscato quel timido raggio di sole che aveva fatto capolino sul Napoli dopo il gol su rigore di Insigne contro la Juve. È stato un peccato doversi giocare l’Europa League con tante assenze e attaccanti non al meglio a causa degli infortuni e dei casi di Covid che hanno decimato i titolari, compresa la sospetta variante africana di Osimhen. Ma i problemi erano cominciati ben prima, perché una conduzione tecnica altalenante, fatta di autentici suicidi sportivi contro Spezia e Verona, e l’inerzia di De Laurentiis nel mercato di gennaio, usato solo per ridurre gli ingaggi, avevano già mortificato le ambizioni scudetto e preannunciato le sconfitte in Supercoppa e Coppa Italia.
Adesso, a meno di miracoli, rimane solo il campionato, e quel rigore di Insigne rappresenta comunque un piccolo segnale di resilienza della squadra: un arcobaleno improvviso in mezzo a una lunga stagione di pioggia, che consente ancora al Napoli di sperare almeno nella qualificazione Champions, per non buttare la stagione. Sulla città, invece, non ha mai spesso di piovere. Anzi, di grandinare. Come nella Napoli di Malacqua, in cui crolli e smottamenti si rincorrono sinistri durante quattro giorni di pioggia ininterrotta, così in quella di de Magistris, fuggitivo “duca di Calabria”, si susseguono scene di ordinario dissesto economico, sociale, morale. Non c’è bisogno della cupa inventiva di Nicola Pugliese per trovare esempi di questo sfacelo a cielo aperto, perché la realtà partenopea è sovrabbondante di pretesti narrativi.
Dalla liturgia ininterrotta di cantieri interminabili al buco nero della Galleria Vittoria; dall’abbandono del verde cittadino, con i giardinieri in smart working, al lungomare, prima liberato, poi occupato dai tavolini selvaggi, poi ancora sfregiato dalla mareggiata dell’incuria, infine assediato dalle auto e da bande di minorenni annoiati e feroci; dalla catastrofe del trasporto pubblico, sublimato dalla presenza dei monopattini nel centro città, nouvelles brioches del pendolarismo urbano, alla frana inarrestabile del patrimonio architettonico, artistico e archeologico della città.
In Malacqua, si assisteva ai crolli continui nell’attesa di un evento straordinario, che non sarebbe naturalmente mai avvenuto; una sorta di psicologia del miracolo, simbolo di una città che si limita a evocare senza più nulla fare. Anche oggi ci si limita ad attendere un “miracolo” per la riconquista di una minima capacità amministrativa: una legge speciale per il debito, un candidato illustre da Roma, la rivoluzione dei giovani e così via.
Intanto, la politica e l’intellighenzia locale animano un dibattito sociologico “sgarrupato”, fatto di giovani contro vecchi, partiti contro società civile: chiacchiere che nascondono solo triti interessi di bottega. Da ultimo, si commenta la ricandidatura di Antonio Bassolino sostenendo che ciò dimostrerebbe che la città è ferma a trent’anni fa. Ma anche su questo occorre necessariamente dissentire, perché la città sta messa molto peggio di allora. Un po’ come il Napoli, che nel 1990 vinceva il suo secondo scudetto.