I 900 milioni di euro in prestiti di salvataggio concessi dal governo italiano ad Alitalia nel 2017 costituiscono una violazione delle regole dell’Unione Europea sugli aiuti di Stato. Sarà certamente questo il verdetto che Bruxelles annuncerà nei prossimi giorni a garanzia della concorrenza: l’indagine triennale ha accertato che i prestiti ponte ad Alitalia hanno aggirato i principi concorrenziali vigenti nell’Unione. Il diritto comunitario vieta infatti agli stati membri di concedere alle aziende nazionali sostegni finanziari che permettano di avvantaggiarsi sul mercato rispetto agli altri competitor.

La decisione doveva essere resa pubblica già ieri, ma i tempi sono slittati, per consentire al governo di mettere in campo una soluzione tempestiva in grado di evitare il peggio. Roma ha già lavorato a un accordo con Margarethe Vestager, commissario Ue per la concorrenza, al fine di consentire la creazione di una nuova compagnia aerea che sarà indipendente da Alitalia. Le istituzioni europee confermeranno i dettagli della nuova compagnia aerea, chiamata Ita, acronimo di Italia Trasporto Aereo, che inizierà a volare dal mese di ottobre. Secondo fonti europee, Ita sarà economicamente indipendente e non sarà responsabile per eventuali aiuti di Stato ricevuti da Alitalia negli ultimi anni al di fuori della normativa europea. Il nuovo vettore potrà acquistare parte della flotta di Alitalia e un numero ridotto di slot di atterraggio nell’ambito dell’accordo bloccato tra l’Italia e Bruxelles per consentire alla nuova compagnia di operare.

Come ricorda il Financial Times, la decisione dell’Ue “segna l’ultimo vergognoso capitolo per Alitalia, compagnia di bandiera italiana perennemente in perdita da 75 anni”. Per alcuni il giudizio del quotidiano finanziario sarà troppo duro, eppure la storia di Alitalia degli ultimi anni parla chiaro. Per rispondere alla crisi, nella seconda metà degli anni 90, Romano Prodi, allora presidente del Consiglio tenta una apertura ai privati che non ha successo. Il massimo di patrimonio netto (la somma algebrica tra capitale, riserve, eventuali utili accantonati e perdite non ripianate) che Alitalia ha avuto è stato un miliardo e 817 milioni di euro a fine 1998. In quell’anno, la quota proprietaria di maggioranza era dell’Iri (53%), la flotta contava 160 aerei (di cui 27 di lungo raggio) e i dipendenti erano più di 18mila. L’amministratore delegato Domenico Cempella aveva puntato sull’alleanza-fusione con Klm, la compagnia olandese, e sull’hub di Malpensa al posto di Fiumicino. Quest’ultima fu una scelta controversa e attuata solo in parte, senza la chiusura di Linate: il risultato fu che l’aeroporto di Fiumicino venne indebolito e per Alitalia fu un insuccesso. Al punto che nel 2000 tutto andò in fumo.

Nel 2001, le Torri gemelle e il terrorismo mandano in crisi le compagnie e Alitalia non sfugge al trend globale. Air France fa capolino nel capitale con uno scambio azionario del 2 per cento. Nella prima metà degli anni Duemila la salute finanziaria della compagnia non migliora. Ancora un governo Prodi gioca la carta dell’abbandono del controllo, pensando di cedere il 39 per cento del capitale. Ancora Air France sembra l’interlocutore giusto, è pronta a entrare in massa fin poco sotto il 50%. Ma quando la trattativa sembra giunta a buon fine il clima politico travolge tutto. Silvio Berlusconi, nel 2008, gioca a fare il patriota e sventola la bandiera dell’italianità della compagnia in vista del voto. Appena il Cavaliere vince le elezioni, i francesi capiscono che il vento è cambiato. Per garantire un fallimento controllato, a fine 2008 Berlusconi chiama i “Capitani coraggiosi”: una cordata messa in fila da Intesa Sanpaolo, allora nelle mani del banchiere Corrado Passera, guidata da Roberto Colaninno con nomi importanti dell’industria come Benetton, Riva, Ligresti, Marcegaglia e Caltagirone. A carico dello Stato restano i debiti e la cassa integrazione. La capitalizzazione è pari a un miliardo. Nonostante il tentativo di nazionalizzazione, il coinvolgimento di Air France e Toto Holding, una certa pulizia di bilancio e 8mila dipendenti in meno, Alitalia è sempre in crisi.

Nel 2013 serve nuova finanza e arriva un gettone da 75 milioni da parte di Poste Italiane. L’anno dopo c’è un nuovo tentativo di salvataggio con Etihad, che sale al 49% mentre Air France si defila. Ma il piano di tagli non passa e si aprono le porte dell’amministrazione straordinaria. Tutti i potenziali interessati (Lufthansa, Delta, EasyJet, i cinesi) si sfilano e il governo torna in campo con un prestito ponte di sopravvivenza (900 milioni più interessi) e il coinvolgimento di Ferrovie dello Stato, Poste, Tesoro. Oggi la flotta è diminuita a 112 aerei (26 di lungo raggio), i dipendenti sono 11 mila. Secondo Mediobanca, che ha calcolato in 7,4 miliardi i costi diretti di Alitalia dal 1974 al 2014, il valore aggiornato è pari a 7,62 miliardi. A questi bisogna aggiungere i diversi “rinforzi” operati negli ultimi anni dai governi in carica compresi i governi Gentiloni e Conte2. Facendo questi calcoli si superano i 12 miliardi. Niente male per un’azienda perennemente in crisi. Ogni provvedimento e intervento dello Stato sembra un continuo ritorno al punto di partenza, come in un crudele giro dell’oca. Come ricorda il Financial Times, Alitalia “non ha registrato un utile netto annuale dall’inizio del millennio”. Nell’ultimo anno in cui l’aviazione è stata colpita da severi limiti ai viaggi per controllare la diffusione del virus, il governo italiano ha assunto il pieno controllo della compagnia aerea. Evidentemente troppo, secondo Bruxelles. Da qui l’intervento contro gli aiuti di stato. Ma i guai di Alitalia non finiscono qui.

Oggi in piazza a Montecitorio è prevista la protesta delle varie sigle sindacali. Nei giorni scorsi, infatti, si è consumato lo strappo tra l’azienda e le rappresentanze dei lavoratori con una serie di proteste conseguenti: prima un corteo di auto a velocità ridotta sulla strada tra Fiumicino e l’Eur e poi con una manifestazione sotto la sede di Ita. A determinare la rottura, il problema della cassa integrazione a zero ore in scadenza a fine mese. I sindacati chiedono la proroga per tutti i dipendenti Alitalia che non passeranno a Ita fino al 2025. Si tratta di almeno 7.500 lavoratori. Una nuova proroga, dopo le tante del passato, del valore di circa 2 miliardi di euro. «Nell’impossibilità di soluzioni condivise – spiega intanto la nota dell’azienda – la conclusione di questa fase deriva dalla necessità di attivare i numerosi e complessi processi per garantire la partenza operativa il 15 ottobre e per consentire alle strutture aziendali l’esame dei 30 mila profili ricevuti (oltre 7.000 dei quali – pari al 70% degli attuali dipendenti – provenienti da Alitalia) che hanno dimostrato di credere nel progetto di Ita in vista dell’assunzione nella nuova compagnia».

I segretari generali Cgil e Filt, Cisl e Fit e Uil e Uiltrasporti sono sul piede di guerra: «La rottura delle trattative da parte di Ita è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. È inaccettabile che un’azienda di proprietà dello Stato agisca con una modalità al limite delle regole e senza alcuna idea di responsabilità sociale, fino a mettere in discussione l’esistenza del contratto nazionale, in una trattativa complessa che riguarda migliaia di lavoratori e lavoratrici». La richiesta è quella di convocare urgentemente il tavolo sull’emergenza trasporto aereo per evitare il «rischio di avere migliaia di persone esodate, senza lavoro, senza ammortizzatori sociali e senza raggiungere la pensione», come ha detto il segretario nazionale della Uiltrasporti, Ivan Viglietti, dopo l’incontro al Nazareno con una delegazione del Pd, guidata dal vicesegretario Giuseppe Provenzano.

Nella manifestazione di oggi i sindacati chiedono l’accordo sulla cassa integrazione fino al 2025, il contratto collettivo nazionale di lavoro, e un accordo che garantisca il progressivo assorbimento di tutti i lavoratori Alitalia da qui al 2025 in Ita. «La rotta è prestabilita, dalla decisione della Commissione Ue e dalle leggi approvate dal Parlamento. Siamo in attesa, spero che sia questione di ore, della decisione finale della Commissione europea», ha detto ieri il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, durante il question time della Camera. E dopo il verdetto della Ue la patata bollente ritorna in mano a Mario Draghi.

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient