Daniela Santanché da una parte, Antonio Decaro e Michele Emiliano dall’altra. Ma c’è tempo. Le elezioni europee sono ancora lontane, e la lista non si esaurirà qui. Sono i cavalli di Troia dell’eterna furia forcaiola che sovrasta la politica. La inquina. La sostituisce. Cavalli di Troia che presto diventano cavalli di battaglia.

La deriva cominciò con Bettino Craxi, proseguì con Silvio Berlusconi e poi non si fermò più. Da Gianfranco Fini a Matteo Renzi, passando per una miriade di tempeste di fango su questo o quel partito, questo o quel leader. E allora il Pd? E allora la Lega? Nessuno si salva, perché prima o poi arriva il suo momento. Ma nessuno impara la lezione. Non a caso, alcune delle più illustri vittime della mannaia in una prima fase giocarono la loro partita proprio sulla moralizzazione dell’universo. Da Berlusconi che voleva redimere “il teatrino della politica” a Di Pietro che si prestava alla politica in nome dei “valori”, da Renzi che rottamava chiunque gli capitava a tiro fino a Grillo e Di Maio che rivoltavano il Parlamento come una scatola di tonno e abolivano festanti la povertà.

La malattia riguarda anche la tanto mitizzata società civile: la schiera dei No-vax che ha affollato la fase della pandemia, più che ad argomenti medici si appellava a indimostrati intrallazzi fra il premier Conte, il ministro Speranza e le famigerate sorelle di Big Pharma. Come ha osservato Massimo Adinolfi, il giustizialismo è bipartisan perché si basa su un garantismo a corrente alternata. È il nutrito esercito dei “garantisti, ma”. Ognuno si appella alla presunzione d’innocenza quando si tratta di difendere gli adepti alla propria tribù. Per gli avversari scatta il riflesso opposto. Santanché si deve dimettere perché si, d’accordo, non è stata condannata, ma gli indizi sono troppo gravi (Elly Schlein). E Maurizio Gasparri così si rivolge al sindaco di Bari, regolarmente eletto e neppure indagato: “Decaro metta giù le mani dalla città”. Si potrebbero citare i classici, ad esempio il Benedetto Croce che affermava “in politica l’onestà non è altro che la capacità”.

Ma la questione italiana da tempo non riguarda i concetti quanto una vera deformazione mentale, una passione per le scorciatoie che portano al potere non grazie alle proprie idee ma alla demonizzazione del prossimo. È il manipulitismo eretto a sistema di pensiero e di azione permanente, le monetine virtuali dell’accusa come arma di delegittimazione per l’avversario. Un coro costantemente amplificato da giornali in massima parte schierati, al punto da essere sovrapponibili alle parti politiche. La proposta di Maria Elena Boschi – applicare la par condicio anche ai giornalisti, che andrebbero distinti in fiancheggiatori dei diversi partiti – è irricevibile, in primo luogo per violazione della libertà di stampa prevista dalla Costituzione. Però come provocazione funziona: nessuna democrazia può dirsi in salute senza una stampa indipendente, che non si alza la mattina avendo già in tasca la lista dei giusti e dei peccatori, o peggio dei colpevoli e degli innocenti.

Sergio Talamo

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