“Non andrò a vedere L’Immortale. Questo personaggio descritto con una definizione da ‘supereroe’, cui viene dedicato un intero film e diventa quasi un super-eroe. No, non ci andrò”. A dichiararlo a il Riformista è Maria Luisa Iavarone, professoressa dell’università Parthenope e madre di Arturo Puoti, ragazzo aggredito violentemente da una baby gang nel 2017 a via Foria a Napoli. Eppure, oltre 600mila euro di incasso e quasi 88mila spettatori hanno accolto nelle sale L’Immortale, il film che racconta la formazione e l’evoluzione di Ciro Di Marzio, tra i protagonisti di Gomorra, la serie sulla camorra napoletana scritta da Roberto Saviano e diretta da Stefano Sollima.

Un vero successo quello dell’esordio alla regia sul grande schermo di Marco D’Amore, visti anche il record come miglior debutto al botteghino in un giorno feriale degli ultimi cinque anni e il terzo posto per la miglior apertura di sempre per un film italiano non commedia. Al Metropolitan di Napoli, quartiere Chiaia, per la prima di giovedì 5 dicembre sette sale erano sold out. I biglietti finiti da circa una settimana. “Questi mi sembrano i sold-out della violenza, del sangue”, osserva però Maria Luisa Iavarone, professoressa di pedagogia all’Università Parthenope di Napoli. Suo figlio Arturo Puoti venne accerchiato e accoltellato brutalmente in via Foria a Napoli da una baby gang. Era il 18 dicembre 2017 e la vittima aveva 17 anni. Soltanto per qualche millimetro il coltello non recise mortalmente la carotide.

Dalla sua esperienza Iavarone è però riuscita a trasformare il dramma in impegno e ha fondato l’Associazione Artur (Adulti Responsabili per un Territorio Unito contro il Rischio). È particolarmente critica con il filone che la serie Gomorra ha inaugurato, anche se salva il libro-inchiesta scritto da Roberto Saviano dal quale è cominciato tutto nel 2006 e il film diretto da Matteo Garrone del 2008. “Ormai – spiega – siamo all’alimentazione di un fenomeno fine a se stesso. Qui non siamo più alla denuncia, qui siamo al business. L’operazione si è snaturata e sta diventando altro. L’ultima volta che sono andata a vedere un film del genere è stato con La paranza dei bambini (tratto da un altro romanzo di Saviano, ndr) e sono uscita dal cinema con il mal di stomaco. In questi prodotti non ci sono adulti, genitori che siano effettivamente da esempio. Non si approfondiscono tutti quei problemi legati all’infanzia e all’educazione in certi territori. Ci sono soltanto ragazzini che annaspano ciecamente in un mondo senza adulti significativi e senza riferimenti. E poi credo che sia molto pericoloso mostrare potere a chi non ha potere e soprattutto farlo in quella modalità”.

La professoressa è critica anche verso la maniera in cui questi progetti vengono realizzati: “Le produzioni vengono qui, pagano e vanno via senza lasciare niente. Almeno si fosse creato un indotto del cinema, poteva essere una possibilità per i nostri quartieri. E invece hanno fatto i casting in mezzo ai vicoli, incoraggiando i ragazzini a giocare a fare i paranzini scorrazzando sugli scooter per qualche centinaia di euro. Il fratello di ‘O’Nano’ (soprannome di uno dei tre accusati dell’aggressione di Artuto Puoti, condannati in Appello a nove anni e tre mesi, ndr) ha fatto la comparsa in La Paranza. È diventata un’industria, quella di Gomorra, che nutre soltanto se stessa e non mostra un’altra narrazione della città”.A mancare in questi prodotti, secondo Iavarone, è soprattutto un’altra narrazione di Napoli: “C’è un’altra città, quella del volontariato, della società civile, delle associazioni che si impegnano. Quella non ha spazio: soltanto le stesse dinamiche, magari con personaggi diversi, come in una soap opera. E sempre più sangue, sangue e sangue”.

Come si dovrebbe allora raccontare la camorra? “Ho apprezzato molto Il Sindaco del Rione Sanità di Mario Martone soprattutto per la straordinaria interpretazione di Francesco Di Leva. Questo per dire che non sono per la censura perché il problema non è nelle scene ma negli occhi di chi guarda. E nel caso di Gomorra il target è a rischio: comprende strati di popolazione, spesso giovanissimi, che non colgono certi aspetti della finzione. Ma credo che si dovrebbe lavorare sia nella produzione, e quindi sulle storie, che nella distribuzione. Con un dibattito, un cineforum, un contenuto extra che si dissoci senza equivoci da certi modelli. In questo modo ci porterei anche i miei ragazzi a vedere L’Immortale. Ma non così. questi sono soltanto i sold-out del sangue”.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.