La morte del figlio, travolto da un poliziotto ubriaco, e la beffa per i genitori che 16 mesi dopo ricevono una fattura dal costo di 183 euro per pulire il luogo dell’incidente dove ha perso la vita Davide Pavan. Era l’8 maggio 2022 quando il 17enne venne travolto, mentre si trovava in scooter, dall’auto guidata da Samuel Seno, 31 anni, in forza all’Ufficio Stranieri della questura di Treviso.
Il poliziotto pochi giorni fa ha patteggiato 3 anni e 6 mesi: gli sono state riconosciute le attenuanti generiche e i suoi difensori si preparano a chiedere gli sia concessa una misura sostitutiva del carcere. In una lunga intervista al Corriere Veneto, Barbara Vedelago, madre  di Davide, denuncia l’orrore della burocrazia italiana che continua, anche a distanza di tempo, a far ripiombare i due genitori in quella drammatica gioranata.

Quando è arrivata la fattura “all’inizio pensavamo a un errore. Oppure a un brutto scherzo…”. Sopra c’era scritto “bonifica dell’area con smaltimento dei rifiuti e assorbente per sversamento liquidi”.  La cifra di 183 euro “ci è stata chiesta per la pulizia del luogo dell’incidente, per togliere i rottami e spargere della segatura sul sangue di Davide e sui liquidi del motore rimasti sull’asfalto”.
Insomma lo Stato ha addebitato alla famiglia della giovane vittima i costi di pulizia della scena del crimine. Ma non solo. Purtroppo la lenta burocrazia italiana ha sempre la memoria corta. “Ad esempio – racconta la donna – ci è arrivata una raccomandata per avvisarci che il rottame dello scooter era stato dissequestrato e che dovevamo andare subito a ritirarlo, altrimenti avremmo dovuto pagare una penale per ogni giorno di ritardo”.

La madre di Davide racconta anche lo strazio vissuto dalla fidanzatina, la prima ad accorrere sul luogo dell’incidente: “Quel giorno Davide l’aveva appena riaccompagnato a casa”, lei “con una app di geolocalizzazione sul telefonino, aveva notato che mio figlio era fermo ormai da dieci minuti e quindi si è fatta accompagnare dai genitori per capire cosa stesse succedendo. Quando sono arrivata era distesa sopra di lui, lo abbracciava come volesse riscaldarlo con il suo corpo. È stato tremendo e ancora oggi quella ragazza deve fare i conti con ciò che ha vissuto quel giorno. Eppure il giudice le ha negato la possibilità di costituirsi parte civile: la Legge non lo prevede, perché non erano sposati e lei non è una parente”.

Barbara racconta dell’incontro avuto con il poliziotto, dopo la sentenza dei giorni scorsi: “È dal giorno dell’incidente che volevo chiedergli una cosa: se mio figlio è morto sul colpo, come ha stabilito anche l’autopsia, oppure se è sopravvissuto per qualche minuto. Questa dubbio mi tormentava: l’idea che fosse rimasto agonizzante, da solo, su quella strada…”. L’agente ha spiegato “che è sceso subito dall’auto e che ha cominciato a praticargli le manovre di rianimazione, ma che Davide era già morto. Poi ci ha detto che vive ogni giorno nel rimorso, che gli dispiace. Era molto scosso, gli occhi lucidi. Già in una lettera, scritta alcuni mesi fa, ci aveva chiesto perdono”.

Un calvario, quello di un genitore che perde il figlio, che andrà avanti per tutta la vita: “Il fratellino di Davide, ad esempio, ha 15 anni e vorrebbe il motorino. Ma io e mio marito gli abbiamo risposto di no. E anche se lui comprende i motivi di questo rifiuto, noi lo sappiamo che è un’ingiustizia ma ancora non riusciamo ad affrontare l’idea che possa accadergli qualcosa di brutto”. Barbara spiega infine che potrà perdonare il poliziotto solo quando diventerà padre: “In quel momento, guardando suo figlio, finalmente capirà cosa mi ha tolto. E allora sì, troverò la forza di perdonarlo”.

Redazione

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