La linea immaginaria che taglia in due l’Italia non segna solo una differenza geografica, ma nasconde disparità ben più profonde e radicate. La povertà, specie quella educativa, si manifesta in modi diversi e più severi al Sud rispetto al Nord, delineando una nazione fratturata, dove le opportunità di vita dipendono troppo spesso dal luogo di nascita. L’essere poveri è innanzitutto una condizione umana che limita severamente le libertà individuali e collettive. Il filosofo Amartya Sen descrive la povertà come una mancanza di “capacità” di vivere la vita che uno desidera vivere. In questa prospettiva, la povertà si estende oltre la semplice assenza di reddito per abbracciare l’assenza di opportunità e scelte.

La povertà in fondo si ‘eredita’ come il colore degli occhi: il peso delle opportunità omesse è inesorabile e riflette una immobilità sociale che non si quantifica solo con una perenne carenza di denaro ma anche con un vuoto di speranze e possibilità. Ogni bambino che cresce in un ambiente privo di stimoli educativi e professionali vive in un mondo dove anche il cielo sembra avere un limite. La mancanza di opportunità è la più grande eredità di disuguaglianza che una società può lasciare ai suoi figli. È un debito silenzioso che si accumula con gli anni, sottraendo futuro prima ancora di poterlo immaginare. Le opportunità negate tessono il tessuto di una povertà che non si vede, ma che pesa sulle spalle delle generazioni future come un macigno invisibile, costringendole a un cammino in salita su una strada dove pesa sempre di più il solco dell’origine familiare o ambientale.

Il destino italiano – purtroppo – sembra troppo spesso deciso dalla geografia: una divisione non solo di terra, ma di occasioni, tra un Nord lentamente meno prospero e un Sud che lotta non solo contro la povertà economica ma contro una più subdola povertà educativa. Secondo l’ISTAT, il tasso di abbandono scolastico precoce nel Mezzogiorno negli ultimi anni è intorno al 18%, quasi il doppio rispetto al 10% del Nord. La correlazione tra bassi livelli di istruzione e alti tassi di disoccupazione è evidente nel Sud, dove, secondo la Banca d’Italia, la percentuale di disoccupazione giovanile supera il 33% contro il 19% del Nord. Questa situazione perpetua un ciclo di povertà che limita l’accesso a ulteriori speranze di crescita economica. Ma con l’educazione giusta, possiamo cambiare il colore del futuro, possiamo tracciare percorsi differenti. Questo è quello che le democrazie occidentali sperano di realizzare.

Europa 2020, il decennale programma di crescita e sviluppo strategico lanciato dall’Unione Europea nel 2010, includeva tra i suoi obiettivi specifici traguardi per l’istruzione. Uno degli obiettivi chiave era quello di ridurre le percentuali di abbandono scolastico a meno del 10% in tutti gli stati membri e di aumentare la quota dei giovani di età compresa tra 30 e 34 anni che completano l’istruzione terziaria o equivalente almeno al 40%. Un obiettivo fallito dalla gran parte dei paesi. Tutto è stato ritrasferito a Europa 2030, la strategia che attualmente argomenta sul Piano d’Azione per l’Educazione Digitale 2021-2027 e degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’UE, focalizzandosi ulteriormente sull’inclusione e sulla digitalizzazione.

Promuovere l’inclusione e la parità nel sistema educativo favorendo un accesso equo all’istruzione di qualità per tutti, indipendentemente dal background socioeconomico, nonché l’aumento della resilienza enfatizzando la necessità di digitalizzare l’istruzione, migliorare le competenze digitali di studenti e insegnanti e rendere il sistema educativo più flessibile e resiliente a shock esterni, come dimostrato dalla pandemia di COVID-19. Bisogna probabilmente garantire che i cittadini europei possano acquisire e aggiornare continuamente le competenze necessarie per la partecipazione attiva nella società e nel mercato del lavoro.

Lontano dai tradizionali sussidi, esistono iniziative che promuovono un cambiamento strutturale. Ad esempio, il programma “Scuola Viva” in Campania partito nel 2015, finanziato con fondi regionali e europei, mira a trasformare le scuole in centri comunitari aperti tutto il giorno, offrendo attività extracurriculari che migliorano l’apprendimento e coinvolgono la comunità. Investire in infrastrutture digitali può ridurre il divario educativo. Progetti come “PON Scuola”, finanziato con 3 miliardi di euro dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, hanno come obiettivo la digitalizzazione delle scuole e la formazione degli insegnanti nelle regioni meno sviluppate, aumentando l’accesso all’istruzione di qualità. Iniziative come “Resto al Sud”, che incentivano la creazione di nuove imprese nel Sud Italia, sono essenziali per creare opportunità lavorative correlate ai livelli di istruzione. Tali iniziative possono aiutare a trattenere i talenti nel Sud, collegando direttamente l’istruzione alle opportunità di lavoro locali.

Molto dipende dalla visione di Stato che ognuno interpreta. Se consideriamo lo Stato o l’Europa non solo come un ente redistributivo di risorse economiche ma come un facilitatore di capacità, il suo ruolo si espande considerevolmente in una densa economia di mercato. L’intervento pubblico può quindi essere concepito non solo come fornitore di sussidi, ma come creatore di contesti e possibilità. Istituzioni forti e trasparenti possono costruire infrastrutture, sia fisiche che sociali, che promuovono l’equità e l’accesso alle opportunità per tutti i cittadini. In questo quadro, l’educazione – non è un mero sussidio ma diventa uno strumento di emancipazione e di uscita dalla trappola della povertà. L’educazione è uno degli strumenti più potenti per combattere la povertà.

Più che impartire conoscenze, l’educazione può essere vista come un mezzo per sviluppare il pensiero critico, l’autonomia e la capacità di cambiare la propria situazione. Investire in un’educazione di qualità che sia accessibile a tutti significa permettere alle persone di costruire le proprie vite su basi solide e di partecipare attivamente alla vita economica, sociale e politica. In ultima analisi, combattere la povertà attraverso gli interventi pubblici richiede una visione olistica che vada oltre il mero assistenzialismo. Richiede una filosofia di empowerment, dove ogni individuo ha le risorse, le capacità e le opportunità di modellare attivamente la propria vita. La sfida per lo Stato moderno è quindi quella di trasformarsi da semplice distributore di risorse ad arbitro operante in un contesto dinamico, in modo che la libertà e le opportunità siano realtà accessibili a tutti i suoi cittadini.

Il diritto allo studio rientra in questa dimensione convenzionale. Le sue radici sono rinvenibili negli artt. 3-34 della Costituzione “i capaci e meritevoli anche se privi di mezzi hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” e stabilisce che la Repubblica rende effettivo questo diritto, ad esempio, con borse di studio. I padri costituenti proclamarono con forza l’ideale di una società dove la libertà dei giovani si contemperasse con l’uguaglianza (art. 3) – termini spesso incompatibili nelle loro accezioni estreme: una società completamente libera diventa profondamente disuguale ma una società al massimo uguale non può essere libera.

L’esigenza di questo allineamento non può che tradursi nella formula dell’uguaglianza delle condizioni di partenza. Possiamo immaginarla come una gara – nessuno dubita che debba essere il migliore a vincere, purché i contendenti nel momento in cui si sente la campana che dà il via alla corsa siano tutti allineati sulla stessa striscia di partenza. Altrimenti non sarà il più veloce a vincere ma solo colui che si trova in una posizione di vantaggio rispetto agli altri contendenti. Per questo, la società meritocratica si sfalda spesso nel caos di un mondo colmo di disuguaglianze educative. Nessuno di noi può considerarsi contro la ricchezza ma certamente dobbiamo essere tutti pronti alla lotta contro la povertà – una disuguaglianza nell’istruzione che nella mobilità tra generazioni diventa monetaria e strutturale.

Il diritto allo studio in fondo è questo – una cura alle disparità. Un modo per costruire ponti attraverso la conoscenza per erodere i muri della lontananza e della indifferenza tra i giovani. Questo è lo scopo dell’Università – nonché l’obiettivo del diritto allo studio. Trasformare specchi difficilmente scalabili in finestre di opportunità perché le fondamenta di ogni stato sono l’istruzione dei suoi giovani a tutti i livelli. Lo studio e il sapere sono l’unico strumento che trasforma potenziali sudditi in cittadini e l’Università rappresenta l’unico spazio in grado di annullare le differenze sociali – un luogo di trasmissione della conoscenza ma anche un motore di formazione delle coscienze.

Giuseppe Pignataro

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