Si comportano stranamente gli accusatori di Israele sui molteplici fronti della giustizia (chiamiamola così) internazionale. Sono affamati di provvedimenti provvisori e cautelari – cioè quelli che il giudice emette in sede d’urgenza – ma poi temporeggiano nell’approfondimento di merito e si dimostrano renitenti all’obbligo di completezza istruttoria. Se è troppo avvocatesco facciamola più semplice: è la pratica giudiziaria del colpo di mano prima del processo, intanto ti fotto e poi si vede.
Il Sud Africa, scortato da un corteo di Stati-Canaglia, ci ha provato tre volte alla Corte Internazionale di Giustizia, chiedendo l’emissione di provvedimenti (l’incondizionata fine delle operazioni militari, il ritiro totale da Gaza, il divieto di operare su Rafah) che, se fossero stati disposti dalla Corte, avrebbero impedito la neutralizzazione di migliaia di miliziani e stabilizzato il potere terroristico che tiene sotto sequestro la popolazione palestinese e minaccia Israele. Ma allo stillicidio dei ricorsi sudafricani, cui la Corte rispondeva ordinando misure perlopiù rivolte all’assicurazione del flusso degli aiuti umanitari, non faceva seguito analoga solerzia quando si trattava di documentare non più con i dati farlocchi delle organizzazioni umanitarie e con i rapporti pieni di balle dei consulenti dell’Onu, ma con roba seria e attendibile, l’assurda accusa di genocidio rivolta a Israele.
Non per caso, infatti, ma per quella significativa ritrosia, lo scorso aprile gli accusatori chiedevano alla Corte che fosse loro concesso un termine di dodici mesi per rimpolpare gli atti (a Israele bastavano sei mesi). La Corte stabiliva il termine del prossimo 28 ottobre, ma il Sud Africa chiedeva un differimento. Evidentemente le prove del “genocidio” di cui si parla dal dicembre dell’anno scorso non sono così evidenti e probanti (e tuttavia, appunto, erano sufficienti a chiedere che Israele rimanesse con le mani in mano davanti agli eccidi e ai rapimenti del 7 ottobre).
Sull’altro fronte, quello della Corte Penale Internazionale, siamo ancora alla fregola del prosecutor che, dopo la conferenza stampa di maggio, ha per due volte – l’ultima proprio l’altro giorno – sollecitato la Corte a emettere ordini di arresto nei confronti di Netanyahu e del ministro Gallant. I quali continuano a essere accusati di aver causato a Gaza la carestia che a Gaza non c’è mai stata, con una richiesta di arresto fondata in modo inalterato su dati rivelatisi a dir poco erronei, o falsi senz’altro. Ma ci si prova. Leghiamo le mani a Israele, aiutiamo la “resistenza” palestinese, sbattiamo in galera i leader israeliani. Poi al processo – senza fretta – si vedrà. Una specie di Mani Pulite dal fiume al mare.