Ancora una volta, su temi cruciali quali la difesa europea e la tutela dell’Ucraina, l’Italia presenta una situazione fra le più paradossali. La manifestazione del 15 marzo ha espresso in modo genuino una reale sensibilità europea, unica in tutto il Continente. Nel profondo della manifestazione sono emersi due atteggiamenti politici divergenti che ne hanno fortemente ridotto la valenza politica. La manifestazione avrebbe avuto il massimo significato politico se avesse espresso in modo chiaro l’adesione alla linea von der Leyen che riguarda la scelta di riarmare i singoli Paesi europei in vista della costruzione di un esercito comune, per rispondere a una serie di sfide: in primo luogo a quella della Russia di Putin che riguarda l’aggressione all’Ucraina ma anche la disarticolazione dell’Ue; in secondo luogo, l’ambiguità della linea di Trump sia nei confronti della vicenda russo-ucraina, sia rispetto ai pessimi rapporti con l’Unione europea, dazi compresi.

La linea bellicista

Solo una parte della manifestazione del 15 marzo si è espressa in questi termini. Per un’altra parte la linea von der Leyen sarebbe bellicista. Essi non tengono in alcun conto il fatto che da alcuni anni la Russia di Putin, come avvenuto in Georgia prima e poi in Crimea per finire proprio in Ucraina, sta portando avanti una linea bellicista rispetto alla quale l’Unione europea sta opponendo una mera difesa, resa ancora più necessaria dall’ambiguità di Trump. Se si passa dalla poesia della bellissima coreografia di piazza del Popolo alla realtà politica concreta, l’Italia è alla retroguardia e non all’avanguardia sia sui temi del rilancio della difesa, sia su quello della tutela dell’Ungheria rispetto a ciò che stanno cercando di mettere in campo i cosiddetti Stati volenterosi che, a parte il ritorno in campo della Gran Bretagna. sono il cuore dell’Europa.

La riflessione sul dato di fondo

Per ciò che riguarda la maggioranza di governo sono chiaramente a sostegno della linea europea Forza Italia e Noi Moderati, frontalmente contraria la Lega, anche perché Salvini tifa oggi per Trump e per Musk ma fino a ieri era putinista. Per parte sua Giorgia Meloni cerca di tenere il piede in due staffe, quella di Trump e quella dell’Europa, e solo dal suo discorso di oggi in Parlamento capiremo quale politica darà a questo assai difficile ecumenismo. La condizione dell’opposizione è addirittura peggiore: sono per la linea europea e per la piena tutela dell’Ucraina la componente riformista del Pd, Calenda, +Europa di Magi e, a suo modo, Renzi. Mentre invece è su una linea del tutto contraria Conte, che gareggia con Salvini in putinismo. Mentre il massimo della doppiezza e dell’ambiguità caratterizza la linea della Schlein. Al di là di queste schermaglie bisogna aprire una riflessione su un dato di fondo: fino al 1989 l’equilibrio geopolitico e la stessa pace sono stati assicurati dal fatto che, a fronte del mondo comunista, c’era schierato l’Occidente, dagli Usa all’Unione europea, al Giappone con il Patto Atlantico e la Nato. Poi, dopo il 1989, si è aperta una fase confusa ma comunque segnata dalla tenuta dello schieramento occidentale. Adesso invece sul campo c’è una sorta di attacco a tre punte all’Occidente costituito dalla Cina, che però ha una sua linea del tutto autonoma, e dall’aggressività terroristico militare della Russia e dell’Iran. A fronte di tutto ciò, dopo la serie di presidenti americani andati da Bush senior a Bush junior fino a quelli democratici, oggi Trump e il suo retroterra economico-finanziario sta sparigliando in modo imprevedibile tutti i giochi.

L’unica linea in grado di salvare il salvabile è quella di una Unione europea globale, dall’euro alla politica economica alla politica estera e della difesa, il che richiede un quadro politico che scarti in modo netto all’estero la linea Orban e in Italia le posizioni incrociate di Salvini e di Conte.