L’ultimo canto della Commedia (“Divina”, come si sa, è aggiunta di Boccaccio nel XIV secolo) si apre con la preghiera di san Bernardo a Maria. Dante sceglie l’abate di Chiaravalle, il “dottore mariano”, così veniva chiamato, come suo intercessore presso Maria perché lo introduca alla contemplazione del mistero di Dio. È l’ultimo aiuto che Dante riceve nel suo viaggio giunto ormai al termine. Tra breve farà l’esperienza di Dio. Ha bisogno di Maria. E chiede l’aiuto all’abate cantore della Vergine. Bernardo in effetti aveva cantato quell’umile creatura di quel villaggio della periferia dell’Impero romano, ponendola dentro il mistero stesso di Dio: una donna «degna di singolare ammirazione, venerabile al di sopra di ogni donna, riparatrice dei progenitori, salvatrice dei posteri» (Sermone II, 3).
Quella dottrina non era rimasta chiusa tra le arcate dei chiostri, fu invece ispiratrice di cultura e di arte. Due secoli prima di Dante, con Bernardo ancora vivente, l’anonimo artista del mosaico absidale della Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma si era lasciato ispirare per illuminare la madre di Gesù come regina seduta sullo stesso trono del Figlio e cantata come “sponsa Verbi”. Dante, anche lui, attinge da Bernardo che nei suoi testi unisce amore e ragione come via della conoscenza del mistero di Dio. Maria, come traspare dalle terzine del XXIII canto, nulla ha a che fare con una sorta di “cosmologia mitica superata”, come ha notato anni fa il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, e non è una sorta di “gioco estetizzante” (sempre von Balthasar). Comunica tutta intera una visione teologica sempre valida, allora come oggi. Maria è la sintesi della storia della salvezza, cioè l’idea cristiana dell’intervento di Dio nella storia per salvare l’intera umanità una volta per tutte, passando attraverso un’umile donna.
È l’allargamento dell’idea ebraica dell’alleanza di Dio con un solo popolo, doppiamente rivoluzionaria – l’idea cristiana – visto che la salvezza passa attraverso l’incarnazione (nascere come ognuno di noi, da una donna) per avviare un “regno” rivelato ai “puri di cuore”, non ai gonfi di sapienza: un regno a disposizione dei poveri, non sequestrato dai ricchi: un regno che trasforma la terra in eredità per i miti, non in bottino per i prepotenti. Nei versi danteschi è robusta l’esortazione all’autenticità della vita, purificata dalla penitenza, al retto agire etico-politico, basato sulla forza interiore: quando hai visto, quando hai contemplato i misteri divini, allora la vera trasformazione si traduce nella capacità di resistere al male.
Quale visione abbiamo di Maria; come possiamo leggere la preghiera di san Bernardo? Partiamo da quel verso potente “Vergine madre, figlia del tuo figlio”, che esprime in modo plastico il mistero dell’Incarnazione. Accende immediatamente la nostra attenzione sulla più umile delle creature, ma la più considerata, perché pensando e cantando l’Incarnazione, Dante non può che rivolgere lodi a Maria, come nota Papa Francesco nella sua Lettera apostolica “Candor Lucis Aeternae”, pubblicata giovedì. Dante prosegue: “tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non disegnò di farsi sua fattura”. Maria ha reso nobile la natura umana riallacciando l’alleanza tra Dio e la Creazione, offrendo a Dio il grembo e il cuore che hanno dato vita alla sua incarnazione umana e reso irrevocabile il suo legame con il nostro destino.
Maria è il luogo della gestazione del Figlio in cui si apre l’intimità di un ascolto e di una mediazione che anticipano e incoraggiano la nostra fiducia. Dante fa dire a san Bernardo: “La tua benignità non pur soccorre / a chi domanda, ma molte fiate / liberamente al dimandar precorre”. Chi si rivolge a Maria, alla sua intercessione, può star sicuro di trovare ascolto, al punto che attraverso l’invocazione di san Bernardo, a Dante è possibile salire alla visione di Dio. Si potrebbe dire che Maria è la lingua materna in cui Dio è messo nella condizione di apprendere e di parlare la lingua del corpo e degli affetti che ci rende umani. E in questa lingua, noi stessi, diventiamo capaci di entrare nell’intimità di Dio. Per questo Dante pone in bocca a san Bernardo queste parole: “Ancor ti priego, regina, che puoi / ciò che tu vuoli, che conservi sani, / dopo tanto veder, li affetti suoi”. Il santo intercessore chiede a Maria di preservare il poeta dal ricadere nel peccato, mantenendo nel tempo la sua inclinazione al bene, dopo aver contemplato i misteri divini. Il viaggio della Commedia diventa un percorso di cambiamento interiore stabile, definitivo, non una fase passeggera, non emotiva, bensì una solida esperienza affettiva ed effettiva.
C’è qui una visione che oggi possiamo rileggere in chiave “sociale”, abbandonando i riduzionismi e gli stereotipi che di volta in volta, nei secoli, hanno visto Maria come la donna obbediente e sottomessa: “strumento” quasi “impersonale” della volontà del Padre. Maria è certo l’emblema della donna generatrice di vita, come pure modello della persona che accetta l’irruzione di Dio nella storia, per suo tramite. Se però uniamo la preghiera di san Bernardo a Maria a quel passo del Vangelo di Luca (1, 46-55) noto come il “Magnificat” – “ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi” – vediamo la forza trasformatrice della fede che si lega alla donna: nell’esperienza della gestazione – la dimensione universale del femminile nella generazione – riconosce in essa la potenza trasformatrice e la forza ri-generativa della storia umana che ne deve seguire.
Di questa potenza, nella sua umiltà, Maria è protagonista: non per orgogliosa auto-esaltazione della natura ma per deliberata ospitalità della grazia. Le “generazioni” lo riconosceranno, nei secoli dei secoli. Nella maternità di Maria, si concentra la forza trasformatrice del bene, della verità e della giustizia contro tutti i poteri della malvagità, della menzogna e dell’oppressione. Il dogma mariano dell’Assunzione racconta il valore della vita umana, destinata a partecipare alla vita eterna di Dio – come del resto fa Dante con la preghiera di san Bernardo. Per i credenti non è un abbaglio mistico. E la promessa già presente nel libro della Genesi: “Una donna ti schiaccerà il capo” dice Dio al serpente. Una donna, tutte le donne. In Maria questo mistero sigilla il primo e decisivo passaggio della benedizione che inaugura il riscatto e riapre la storia: nascere da donna. Paolo per parlare di Gesù, in cui la benedizione si compie una volta per tutte e per sempre, dice proprio così: “nato da donna”.
In Dante si riassume una feconda esperienza di vita: nel percorso di una persona caduta nel peccato, in un periodo oscuro della vita (e chi di noi non ne ha nel corso dell’esistenza?), la fede diventa un saldo punto di ri-partenza per un cambiamento interiore profondo. Non solo rigenerarsi ma soprattutto evitare di cadere di nuovo nella “selva oscura”. Il simbolismo cristiano è ricco. Esiste una “mariologia sociale”, nata nel secolo scorso, che legge la figura di Maria valorizzandone le caratteristiche più tradizionali ma all’interno di una considerazione più attenta all’autentico messaggio evangelico. Ma questa dimensione antropologica deve arricchirsi dal lato del femminile. Partendo dal mistero di Dio “generante” nel cui orizzonte è stata coinvolta la donna.
La “sapienza” del pensiero cristiano parte da un dato di fatto che oggi la scienza – certa scienza, certa genetica non esente da interessi economici – e parte della cultura da essa alimentata, vogliono mettere all’angolo. Il pensiero cristiano deve avere il coraggio di andare oltre sul senso della generazione: Dio stesso è generazione. Il Figlio eterno è la prima parola di Dio su Dio stesso: Dio esiste in questa donazione e non esiste senza questo amore. La generazione umana del Figlio, in Maria, è stato il modo per dirlo al mondo e radicarlo nella storia. La differenza tra l’uomo e la donna è posta a presidio di questa misteriosa benedizione: essere umani ed essere generati sono i due lati strettamente uniti del mistero della vita: ne indicano il senso, ne aprono la destinazione.
Il turbamento dell’esistenza prodotto dal Coronavirus ci spinge a riscoprire la ricchezza dei legami e degli affetti che rendono capace la vita di generare e rigenerare la vita, nonostante tutto: chi vuole custodirla solo per sé ci mette in pericolo tutti. Le donne ne sanno di più, su questo mistero: vanno ascoltate di più. Maria, “vergine e madre” e anche “figlia del suo figlio” è il modello cui guardare.
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L’invocazione alla Vergine (Paradiso, XXXIII, 1-39)
Vergine Madre, figlia del tuo figlio
Umile ed alta più che creatura
Termine fìsso d’eterno consiglio
Tu sei colei che l’umana natura
Nobilitasti sì, che il suo fattore
Non disdegnò di farsi sua fattura
Nel ventre tuo si raccese l’amore
Per lo cui caldo ne l’eterna pace
Così è germinato questo fiore
Qui sei a noi meridiana face
Di caritate, e giuso, intra i mortali
Sei di speranza fontana vivace
Donna, sei tanto grande e tanto vali
Che qual vuoi grazia e a te non ricorre
Sua disianza vuol volar sanz’ali
La tua benignità non pur soccorre
A chi domanda, ma molte fiate
Liberamente al dimandar precorre
In te misericordia, in te pietate
In te magnificenza, in te s’aduna
Quantunque in creatura è di bontade
Dante Alighieri