Probabilmente il presidente russo Vladimir Putin non aspettava che il “casus belli” per firmare quel decreto. La nuova dottrina nucleare della Federazione, un aggiornamento di quella del 2020 che fissa i criteri per l’impiego dell’atomica, non è una cosa che si formula dal giorno alla notte. E di certo non sono bastate le 24 ore tra la firma dello zar e l’indiscrezione sull’ok di Joe Biden a Kiev per usare gli Atacms per far riscrivere le regole del gioco. Da settimane i cosiddetti “falchi” che volano intorno al Cremlino suggerivano un cambiamento di strategia.
La retorica irresponsabile
Una minaccia che forse serviva a far desistere Washington, che in ogni caso mai era apparsa troppo convinta del dare il via libera a Kiev per quei missili a lungo raggio (sei dei quali, secondo Mosca, sono già stati usati dagli ucraini per colpire la regione di Bryansk). Oppure, più semplicemente, un avvertimento utile a preparare il terreno in attesa di un cambiamento già deciso. E infatti gli Stati Uniti hanno denunciato la “retorica irresponsabile” di Mosca ma i funzionari hanno anche ammesso che “non sono sorpresi dall’annuncio della Russia”. Ieri, quindi, è arrivato l’annuncio di Mosca. Un cambiamento pesante, in termini diplomatici. Perché al gelo delle ultime ore e alla crisi che da tre anni vive con l’Occidente, ora Putin ha aggiunto un ulteriore, pesante tassello: quello di avere di fatto sdoganato l’uso dell’arma nucleare.
La potenziale giustificazione
Adesso, stando al nuovo documento, la Russia può usare l’atomica anche “in risposta ad aggressioni contro la Russia da un qualsiasi Paese non nucleare con la partecipazione o il sostegno di un Paese nucleare”. Non solo. Mosca, adesso, considera una potenziale giustificazione alla risposta nucleare anche un attacco con armi convenzionali che minaccia la sua sovranità, così come il lancio su vasta scala di missili, droni e aerei in territorio russo e in Bielorussia. Infine, la Russia ritiene una minaccia di tipo strategico anche “il dispiegamento di sistemi di difesa missilistica da parte di potenziali avversari, missili a corto e medio raggio, armi di precisioni e ipersoniche non nucleari, droni e armi a energia diretta”. Insomma, una quasi completa liberalizzazione della possibilità di utilizzare l’arsenale nucleare.
Le armi a Kiev
Da qui a usarlo, ovviamente, c’è una differenza abissale. La dottrina pone delle condizioni e dei parametri con i quali Mosca regola la possibilità di sfruttare l’arma nucleare, ma tutto passa attraverso una catena di comando definita, un controllo militare e politico e una decisione che è quella del presidente. Non c’è un automatismo tra ciò che è scritto e il possibile impiego, che è visto come una “estrema risorsa per proteggere la sovranità del Paese”. Ma di certo la decisione del Cremlino è un passo indietro nella difficilissima strada del dialogo. La Russia, del resto, non aspettava altro che un’occasione. E la decisione di Biden sui missili era stata da tempo messa in cima alla lista delle possibili cause di una modifica della dottrina nucleare. Per i funzionari di Mosca, l’uso di missili a lungo raggio americani (così come anche il possibile uso degli Scalp francesi e degli Storm Shadow britannici) è da considerarsi un coinvolgimento diretto delle potenze che consegnano quelle armi a Kiev. E alzare il tiro era nell’aria da tempo. Lo confermano anche altri avvenimenti che in questi giorni agitano i sonni dell’Alleanza atlantica e dell’Ucraina. Non solo i diecimila soldati nordcoreani nel Kursk e i massici raid contro il Paese invaso.
Il sabotaggio
Ora, a preoccupare i Paesi Nato ed europei c’è anche ciò che avviene nei fondali del Baltico e dei mari del Nord. Pochi giorni fa, la Marina di Dublino ha scortato lontano dal Mare d’Irlanda una nave-spia russa, la Yantar, che si trovava in un’area dove passano cavi sottomarini per internet e per il trasporto di energia elettrica. Due giorni fa, Finlandia e Germania hanno segnalato la rottura del cavo sottomarino Cinia C-Lion1 che collega i due Paesi. I governi di Berlino e Helsinki si sono detti “profondamente preoccupati” per quello che rischia di essere un episodio di “guerra ibrida” in cui il primo indiziato è il gigante russo. E sono subito partite le indagini per capire cosa abbia interrotto il flusso dei dati. Mentre ieri è stato segnalato un altro incidente: il danneggiamento di un cavo subacqueo che collega Svezia e Lituania. “Si indaga per sabotaggio”, ha dichiarato il procuratore svedese Henrik Soderman. E questo tipo di attacchi mette di nuovo al centro della scena il pericolo per le infrastrutture critiche. Sulla terra, ma soprattutto nei mari.