Le tensioni tra i due vicepremier
La miopia di Tajani e i diktat di Salvini, il triangolo della destra è destinato ad azzopparsi
Il vicepremier Antonio Tajani, nonché primo segretario di Forza Italia, soffre di un’improvvisa miopia. Succede a tutti ad una certa età. In genere un paio di occhiali aiutano a correggere l’handicap visivo. Tajani infatti afferma e rivendica di essere leader di una forza moderata, di centro e dice “vade retro” agli estremisti come Le Pen o l’ultra destra tedesca di Alternative fur Deutschland. “Mai con Le Pen e Afd – ha ripetuto con vigore mercoledì pomeriggio al Caffè della Versiliana – perchè a noi moderati dire che bisogna mettere un bambino disabile in una classe speciale con bambini disabili, ecco a noi questa roba fa schifo”. E però Tajani nel dire questo smentisce se stesso. Perché Afd c’è l’ha in casa. O meglio, nel “condominio” della maggioranza politica che governa l’Italia.
Il suo omologo vicepremier Salvini infatti rivendica l’alleanza con la destra estrema francese e tedesca e avvisa ogni giorno: “Guai a chi mette veti”. Giorgia Meloni per ora si tiene alla larga da endorsement di ogni tipo. “Non mi posso certo occupare delle alleanze per le Europee, adesso ho altro a cui pensare” ha detto prima di prendere il traghetto per l’Albania. Consapevole che anche solo l’ombra del veto a Le Pen manderebbe all’aria l’alleanza politica che guida il Paese e proprio mentre inizia la stagione più difficile: quella della legge di bilancio, senza soldi ma con molte ambizioni. Matteo Salvini invece ha già iniziato la campagna elettorale per le Europee del giugno prossimo e vorrebbe chiarire fin da ora chi sta con chi. Per evitare la saldatura a cui Meloni, zitta zitta ma neppure tanto, lavora da mesi: una grosse koalition tra le grandi famiglie dei Popolari e dei Conservatori, di cui è presidente, che vada ad estromettere i Socialisti dal governo europeo. Grosse Koalition su cui il Ppe ha messo veti insormontabili: mai con le estremità, a destra come a sinistra.
Un busillis micidiale che il leader della Lega ha individuato perfettamente e non intende mollare per non restare a sua volta zoppo e schiacciato nell’estremismo delle destra europea. Così, non solo non prende le distanze dalle classi speciali ipotizzate dai cari amici di Afd, ma ieri, appena si è diffusa la notizia che lo stallo spagnolo potrebbe risolversi con un nuovo governo Sanchez grazie ad un patto di desistenza tra i socialisti del Psoe e il partito indipendentista catalano (Junts) di Puigdemont che ieri ha eletto la socialista Francina Armengol come presidente del congresso tagliando fuori i Popolari e Vox, Salvini ha mandato un pizzino ai suoi alleati: “Avete visto cosa succede in Europa quando nel centrodestra si mettono veti e ci si divide? Vince la sinistra nonostante abbiano meno voti”. È chiaro che il pizzino è la risposta indiretta al veto di Tajani a Le Pen e Afd. E chi se ne frega della classi speciali.
La domanda quindi è fino a che punto Tajani può reggere i diktat di Salvini e viceversa. Fino a che punto, cioè, Forza Italia è disposta a snaturare la natura moderata e popolare del partito fondato da Berlusconi che il Cavaliere, finché è stato in vita, ha tenuto ancorata alla grande famiglia politica del Ppe vantandosi del fatto che solo grazie a Forza Italia le destre italiane avevano avuto cittadinanza in Europa.
La partita è complessa. Perché in gioco c’è l’anima dei rispettivi partiti. Ed è chiaro, per come si sono messe le cose, che alla fine non ci saranno prigionieri: uno dei due è destinato a tradire la propria storia. Non ci sono dubbi che Tajani sia sincero quando mette il petto in fuori e dice “che schifo quelli che pensano alla classi speciali per i disabili”. Il problema è che Salvini non prende le distanze da Afd e anzi non vuole veti. E Salvini siede accanto a lui in consiglio dei ministri.
Le alleanze per le Europee sono solo l’ultimo dossier che divide i due vicepremier in una riedizione che sempre di più ricorda le tensioni di un’altra stagione tra altri due vicepremier, Salvini e Di Maio. Il Sud, ad esempio. La Lega ha parlato chiaro: l’autonomia regionale deve essere approvata entro la prima metà del prossimo anno. Non solo Roberto Calderoli, il ministro titolare della legge, ma anche governatori come Zaia hanno alzato paletti che sembrano insuperabili. Forza Italia non ne vuole sapere: guida due delle regioni più pesanti del sud Italia, Calabria e Sicilia e l’autonomia differenziata sarebbe insostenibile per il loro elettorato. Come lo sarebbe anche per Fratelli d’Italia. Difficile immaginare come la maggioranza possa uscire indenne da questo incrocio.
La natura “nordista” della Lega riemerge anche nella gestione del Pnrr. Oltre ai 16 miliardi “tagliati”, cioè dirottati su altri canali di finanziamento che però non hanno la certezza del Pnrr, le Infrastrutture, cioè il ministero di Salvini, ha tagliato due miliardi di opere proprio al Sud. Ieri una lunga nota della Lega ha cercato di tamponare la scoperta del nuovo taglio elencando gli investimenti pianificati in Sicilia e in Calabria per un totale di 47 miliardi e la “ferma volontà” di aprire cantieri e realizzare gli investimenti. Nessuno di questi però avrà mai la certezza matematica del Pnrr.
Contraddizioni, divisioni, di merito e di metodo. Sulla tassazione degli extraprofitti delle banche che Meloni e Salvini hanno pianificato tagliando fuori dalla decisione proprio Tajani e Forza Italia, sarà battaglia in Parlamento. Anche su questo dossier, per come è stata gestita la cosa, non ci potrà essere un pareggio. Vincerà Salvini. O vincerà Tajani. E il triangolo della destra è destinato ad azzopparsi.
© Riproduzione riservata