La missione politica del “centro” si esprime col rinnovamento istituzionale. Siamo oggi chiamati alla generazione di un nuovo patto costitutivo di una nuova Repubblica. Siamo chiamati a dare vita, finalmente e davvero, a una seconda Repubblica. I comportamenti collettivi osservabili, definiscono la “cultura” di un paese. La cultura di una comunità non si deduce infatti dai valori dichiarati, ma dagli atteggiamenti sedimentati nel tempo. A loro volta, gli atteggiamenti adottati, derivano dalle “credenze” originate da quanto contenuto nel patto fondativo della comunità, dalla Costituzione se si parla di un Paese.

La Costituzione italiana non è la più bella del mondo, è semmai la migliore che si poteva immaginare nel momento storico in cui ha preso vita. Le condizioni geo-politiche del tempo, suggerirono di coniugare i valori del mondo cattolico con quelli del mondo comunista. L’operazione riuscì anche meglio e più facilmente del previsto e nacque una Costituzione nella quale sono facilmente riscontrabili reciproche concessioni, onorevoli compromessi e anche qualche nobile sintesi fra quei due mondi. L’incipit della nostra Costituzione è emblematico delle concessioni al mondo politico comunista: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. L’articolo 1 della Costituzione italiana ha concorso in modo decisivo alla determinazione della cultura del Paese, una cultura fondata appunto sulla mistica del lavoro, una cultura che premia senza riserve le pretese del cittadino-lavoratore sui bisogni del cittadino-cliente; una cultura che non considera il lavoro come un’opportunità da conquistare e costruire, ma come una pretesa da rivendicare; una cultura che considera il profitto d’impresa come una sorta di maltolto; una cultura fondata sull’idea che il lavoratore sia necessariamente vittima e l’impresa necessariamente carnefice. Queste sono alcune delle credenze che caratterizzano la cultura italica.

L’incipit dei principali articoli è importante perché rappresenta ciò che davvero permane nell’immaginario collettivo. Basti pensare all’incipit dell’articolo 11: LItalia ripudia la guerra. Se in Italia il sostegno al popolo ucraino incontra così tanti ostacoli, in così tanti mondi, da quello accademico a quello giornalistico, lo si deve anche a questo incipit, strumentalmente utilizzato da ogni sorta di pacifinti, primi fra tutti quelli dell’ANPI. Le costituzioni liberali si fondano sul principio della responsabilità individuale e della sacralità della proprietà privata. La Costituzione italiana é invece intrisa di riferimenti alla responsabilità sociale e collettiva, ma é molto debole rispetto alla responsabilità individuale, così come é debole il riferimento alla sacralità della proprietà privata. Certo, é vero, c’è un articolo ad essa dedicato, é l’articolo 42. Ancora una volta, é questione di incipit. Ecco le prime parole dell’articolo dedicato alla proprietà privata: La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. Questo articolo ha sedimentato nella cultura del Paese la credenza che la proprietà privata sia un’opzione secondaria, perlopiù non desiderabile e dettata da interessi discutibili. Da qui deriva l’idea che il cittadino possa difendere la sua proprietà da un soggetto che la viola, solo se questo soggetto, oltre a violare la proprietà, si renda protagonista di un gesto inequivocabilmente violento. Se no, quella del cittadino non é legittima difesa: la violazione della proprietà privata non é considerata, di fatto, in sé un’offesa. Così un cittadino non può difendersi da un animale selvatico e potenzialmente pericoloso che invade la sua proprietà (sì, alludo proprio alla vicenda dell’orsa), senza essere messo alla più feroce gogna mediatica e sociale.

Il rapporto fra il cittadino e lo Stato passa in gran parte attraverso il meccanismo del fisco. L’articolo 53 della Costituzione parla chiaro: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva; il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Nessun riferimento allo scambio fra cittadino e Stato, nessun riferimento alla qualità dei servizi prestati. Questo ha generato la credenza secondo cui le tasse non rappresentano il prezzo di uno scambio, ma un dovere tout court. Così l’iniquità di un fisco oppressivo, la scadente qualità dei servizi e lo sperpero del denaro dei contribuenti, passano in secondo piano di fronte al refrain assordante del “dagli all’evasore!” che caratterizza la cultura del Paese.

Le condizioni storiche e geo-politiche che richiesero una sintesi catto-comunista, sono radicalmente mutate. Siamo oggi chiamati alla generazione di un nuovo patto costitutivo di una nuova Repubblica. Siamo chiamati a dare vita, finalmente e davvero, a una seconda Repubblica. Siamo chiamati a una profonda revisione della Carta in senso liberale, soprattutto nella sua prima parte. Lo stesso ruolo del Presidente della Repubblica come garante di un’unità nazionale indispensabile per assicurare la coabitazione dei mondi politici comunista e cattolico, ha oggi esaurito il suo significato e l’elezione diretta del Presidente segnerebbe, finalmente, il passaggio a una più serena e naturale democrazia dell’alternanza.

I protagonisti del rinnovamento istituzionale non possono di certo essere gli eredi di quei mondi comunista e cattolico che diedero vita alla Carta della prima Repubblica. Lasciare l’iniziativa alle forze di destra, cederebbe il passo a un intento più restauratore che innovatore. Questo quadro dovrebbe orientare la visione strategica e il posizionamento del cosiddetto centro. Fino a oggi non è stato così e l’attuale iniziativa di Carlo Calenda di dare vita a una “costituente per un nuovo Partito della Repubblica fondato sui valori della prima parte della Carta”, appare di un’inadeguatezza davvero disarmante.

Questo è il momento delle scelte coraggiose, oltre tutti i vecchi schemi. Chi fra i protagonisti dell’area politica che si richiama al centro, avrà il coraggio di giocare la partita del rinnovamento istituzionale verso la seconda Repubblica, renderà un servizio di inestimabile valore al sistema democratico italiano.

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Esperto di leadership e talento, ha pubblicato diversi saggi con Sperling & Kupfer, Guerini e Feltrinelli, alcuni dei quali tradotti in più lingue fra cui il coreano e il giapponese. In qualità di executive coach, ha formato centinaia di manager dei principali gruppi industriali italiani e ha lavorato al fianco di alcuni fra i più affermati allenatori di calcio e pallavolo.