È morto probabilmente l’ultimo dei grandi protagonisti delle Prima Repubblica. Incarnava più di altri una contraddizione, la stessa che gli rimproveravo quaranta anni fa: quella di tentare di perseguire a Roma, una politica riformatrice della società e dello stato, sistematicamente contraddetta dalle scelte concrete che la sua Dc compiva in Campania e nella sua Avellino, fondando il suo potere sul peggiore clientelismo meridionale e partitocratico.

Negli anni 70 e nella prima metà degli anni 80 fu nostro deciso avversario, nonostante che la sua corrente – la Base, che aveva ereditato da Vanoni e Fiorentino Sullo e che poi divenne sinistra politica della Dc in alternativa alla “sinistra sociale” di Donat Cattin – fosse la meno lontana dalle posizioni radicali soprattutto in materia di diritti civili: basta pensare agli oltre due milioni di voti dei “cattolici per il NO”, nel voto al referendum sul divorzio, e al fatto che il democristiano Marcora fu con noi uno dei protagonisti della legge sull’obiezione di coscienza.
Lo stesso Ciriaco De Mita divenne nostro interlocutore quando con ogni evidenza insieme avvertimmo che stavano per verificarsi due fatti strettamente collegati tra loro. L’implosione del mondo comunista e la fine degli equilibri di Yalta che avevano consentito il difficile governo democratico della Prima Repubblica.

Con noi dialogò sulla necessità di un cambiamento e una riforma dell’ordinamento politico repubblicano, che ne rendese possibile, con la possibilità di alternative, una governabilità e stabilità democratica. Purtroppo le abitudini e la prassi partitocratiche che nel Mezzogiorno si sposavano al peggiore clientelismo elettorale (abitudini e prassi di cui era protagonista) gli impedirono di portare alle loro naturali conseguenze quei propositi riformatori. E insieme ad altri esponenti della prima Repubblica (dalla Dc al Pci), divenne uno dei corresponsabili della mancata autoriforma dei partiti e della mancata riforma del sistema politico, aprendo la strada al populismo che ha portato alle loro estreme conseguenze i vizi e i difetti della Prima repubblica.

Ho il ricordo nitido di un comizio a Cuneo, con lui e il comunista Petruccioli, nel quale chiedevamo le firme per il referendum che avrebbe consentito il superamento del proporzionale. La Lega aveva già avuto alle regionali del Nord il 20% dei voti. Se la cosa si fosse ripetuta e aggravata alle successive politiche gli equilibri non sarebbero mai stati gli stessi e l’alternativa alla Prima repubblica si sarebbe realizzata con altri protagonisti. Le riforme non ci davano tempo. Occorreva agire in fretta. Ricordo ancora oggi il suo stupore per questo mio drammatico richiamo alla realtà. Di quelle esitazioni, di quello stupore, di quella incapacità di decidere, che condivise con gli altri protagonisti della Prima repubblica (democristiani, laici e socialisti e comunisti), paghiamo ancora le conseguenze.