L'allarme
La Nato avverte: la guerra è qui. E l’auto italiana rischia il collasso
L’Europa è messa a dura prova dal conflitto economico e militare imminente. Palazzo Chigi teme per il settore automobilistico: per Urso servono 750 milioni
Spero di sbagliarmi, ma siamo all’inizio di un periodo molto brutto e forse è tardi per accorgersene. L’ammiraglio Rob Bauer, presidente del comitato militare della NATO, non ha fatto giri di parole. Qualche giorno fa, invitato dal think tank EPC (European Policy Centre), ha detto che salgono i venti di guerra in Europa; che bisogna attrezzarci per investire più soldi in armi e sicurezza; che dobbiamo cercare, attraverso la nostra industria, di svincolarci dal guinzaglio che abbiamo con Russia e, soprattutto, Cina, riguardo a materie prime e altri beni necessari all’industria di trasformazione che abbiamo (non si sa ancora per quanto) in Europa.
Spesso, nel nostro mondo dorato di europei benestanti, non ci rendiamo conto di quanto ancora, in questa attualità tecnologica, le società e i rapporti sociali siano basati sulla violenza e sull’insicurezza. Per rinforzare il concetto Bauer ha dichiarato anche: “ci vuole leadership per spiegare le scelte difficili, che se aumenti la tua deterrenza e il sostegno all’Ucraina ci saranno meno soldi da spendere per altre cose, ci toglierà alcuni dei nostri lussi, richiederà sacrifici e significherà che dovremo correre dei rischi, ma non correre rischi è il rischio più grande di tutti”. Anche se queste parole fossero il tentativo maldestro di voler coinvolgere sempre più l’Europa come facente guerra in conto terzi per l’America, certo alcuni elementi del ragionamento di Bauer paiono oggettivi.
Ci siamo addormentati in area Schengen e ci si risveglia sul fronte di guerra. Una guerra, a detta ormai di tutti, commerciale ed economica, prima che militare. Ma anche militare. E così, di fronte alle incertezze del governo italiano su quanto aumentare la spesa militare, di sicuro a Palazzo Chigi c’è adesso la preoccupazione di un’altra guerra: quella dell’automotive. Stellantis, cioè la ex-FIAT ormai non più FIAT e non più italiana, ha drenato un quantitativo di denari pubblici impressionante, per arrivare al presente senza fiato e con la prospettiva di ulteriori casse integrazioni. Così il ministro Urso ha dichiarato che il governo Meloni dovrà investire 750 milioni di euro nell’automotive. Dicesi 750MLN. Questa si chiama paura. Terrore che scoppi e frani tutto il sistema produttivo automobilistico italiano, con il suo indotto. I sindacati, negli anni passati, ci hanno messo del loro nell’incomprensione del problema, e oggi sono allo stremo. Tuttavia è la maggioranza e la politica tutta che ha paura. Tutti abbiamo paura. Se crolla il mercato dell’auto in Italia e in Europa, come sembra stia accadendo, comincerà a venire giù il resto. E ci ritroveremo, oltre alle guerre ai confini di casa, anche gente parecchio arrabbiata per strada.
Il patatrac viene da lontano. Il freddo raziocinio di regole Ue, che impongono divieti per la costruzione di auto a carburante in tempi troppo rapidi; il legaccio della produzione europea alle batterie elettriche cinesi; il doppio regime di retribuzioni e diritti sindacali all’interno della stessa Europa; tutto questo era oscuro soltanto a chi non volesse vedere. A questi madornali errori contingenti si è sommato il grande errore, la madre di tutti gli errori: la follia di Bruxelles di portare tutti e tutto dentro l’Europa. Una specie di continente paradisiaco dove il tafazzismo ha imperversato e dominato. Ringraziamo soprattutto la classe dirigente tedesca? Certo, ma non è soltanto una questione energetica e ambientale. La colpa di fondo è di aver voluto fare un’Europa allargata prima di avere politiche coese. Spero di sbagliarmi, ma a me pare che così non possa funzionare. Siamo arrivati al punto che dobbiamo morire economicamente per non perire militarmente contro la Russia che preme.
La frittata è fatta. La geopolitica è il pacco che incarta tutte le scelte sbagliate degli ultimi 20 anni, arriva prima di tutto e non avvisa dei suoi percorsi se non traguardi il futuro, ma invece ti limiti a governare il presente, senza progetto, senza visione. Quello che abbiamo fatto per decenni: tirare a campare. E ora c’è da pagare il conto, con gli interessi.
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