Chi è il ragazzo di sedici anni che ha sfregiato l’ex fidanzatina di dodici e che ora rischia una pena tra gli otto e i quindici anni di carcere? È un ragazzino che cresce in un contesto degradato, impregnato di una subcultura criminale, non ha modelli, entra presto nelle maglie della giustizia minorile. È stato titolare di un provvedimento di perdono giudiziale, sbaglia ancora, da qui il provvedimento di messa alla prova.

«È un ragazzo che era entrato prestissimo nel circuito della giustizia minorile. Il numero maggiore di ragazzi che poi fanno registrare i maggiori tassi di reiterazione del reato, nonché maggiori tassi di recidiva sono proprio i titolari del perdono giudiziale – spiega Giacomo Di Gennaro, professore di sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale – Questo è un primo dato che vorrei sottolineare. Poi la messa alla prova. Questo evento lo si poteva tranquillamente evitare se noi ci fossimo trovati davanti a una magistratura e a una giustizia minorile che agisce in maniera diversa. La prima cosa è che quando un giudice attribuisce il perdono giudiziale, ha una serie di elementi in base ai quali può capire qual è la personalità del minore. Non so a che età il ragazzo abbia ricevuto questi due provvedimenti – continua – Questo ragazzo non ha usufruito di nessun tutoraggio e percorso responsabilmente portato avanti per capire in che misura sta crescendo, è cresciuto e si è reso conto di quanto ha fatto in precedenza». Secondo le prime informazioni, infatti, pare che il sedicenne dei Quartieri Spagnoli stesse frequentando, nell’ambito della messa alla prova, un corso per diventare pizzaiolo. «Il problema – commenta Di Gennaro – è che questi percorsi di messa alla prova, che sono fatti relegando il minore ad attività di volontariato, oppure inserendoli in contesti lavorativi poco trasparenti, non faranno acquisire loro nessuna cultura alternativa al suo contesto di riferimento».

Il contesto nel quale nasce e cresce il sedicenne è senz’altro degradante e privo di cultura. Questo ragazzo non ha minimamente una concezione di rispetto della libertà femminile. La procura dei minori gli contesta l’articolo 583 quienquies del codice penale, un reato da codice rosso perché il minore ha provocato una deformazione dell’aspetto della persona. «Cioè delle lesioni che probabilmente resteranno permanenti -afferma Di Gennaro – Il problema è questo: in che misura noi possiamo continuare a lasciare questi ragazzi dentro una rete familiare malavitosa? Questo ragazzo è evidentemente cresciuto respirando una cultura maschilista che si fonda sul dominio del maschio. Finché lasciamo questi ragazzi all’interno di queste culture, noi non ne verremo fuori». Forse avremmo potuto evitare questo ennesimo episodio di violenza atroce che vede due vite rovinate per sempre.

«Se nei confronti di questo ragazzo si fosse fatta una strategia di recupero diversa a cominciare da quando gli è stato attribuito il provvedimento di perdono giudiziale, allontanandolo dalla famiglia e portandolo in un contesto diverso, facendolo studiare e inserendolo in una rete di amicizia diverse, probabilmente – sottolinea Di Gennaro – non avrebbe fatto questo gesto e ci troveremmo difronte a un ragazzo che sta crescendo con punti di riferimento e culture diverse». È una giustizia che li lascia da soli prima e dopo il dramma. «È una giustizia minorile che fa acqua da tutte le parti – conclude Di Gennaro – Non si vuole fare un confronto serio, prendendo provvedimenti e utilizzando strategie alternative per i minori. Inizio a pensare che non ci sia la volontà di affrontare il tema della devianza minorile. Ci sono due vittime: la ragazzina di dodici anni e chi ha sferrato il colpo, vittima di un contesto familiare e della giustizia che lo ha lasciato solo».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.