La missione in Medio Oriente del Segretario di Stato americano, Antony Blinken, prosegue con un unico obiettivo: evitare che il conflitto nella Striscia di Gaza esondi oltre gli argini dell’exclave palestinese. Un pericolo concreto, tanto che lo stesso capo della diplomazia di Joe Biden, in Qatar, ha parlato di un “momento di profonda tensione nella regione” e di “conflitto che potrebbe facilmente metastatizzare, causando ancora più insicurezza e sofferenza”. La preoccupazione di Washington è confermata soprattutto da quanto sta accadendo in Libano, teatro di un confronto sempre più serrato tra la milizia sciita di Hezbollah e Israele.

Ieri, a Khirbet Selm, è stato ucciso uno dei più importanti comandanti di Hezbollah, Wissam al Tawil. E secondo le prime informazioni, la sua morte sarebbe avvenuta in un presunto attacco israeliano effettuato con un drone. L’uccisione, che arriva a pochi giorni da quella (sempre in Libano) di Saleh el Arouri, conferma il pericolo di un’escalation che colpisca il Paese dei cedri. Ed è un timore che agita il governo di Beirut, la diplomazia statunitense e quella europea. Ieri, dopo la notizia della morte di al Tawil, il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa, John Kirby, ha ribadito il “forte desiderio degli Stati Uniti di non vedere questo conflitto intensificarsi o allargarsi”, e l’auspicio di Washington affinché “gli sfollati in Libano e gli sfollati in Israele abbiano il diritto di tornare alle loro case”.

Il messaggio è rivolto principalmente ai due contendenti, Hezbollah e Israele, impegnati in una guerra a bassa intensità sempre più vicina al punto di non ritorno. Già nei giorni scorsi, il movimento sciita aveva lanciato decine di missili contro lo Stato ebraico come risposta all’omicidio di Arouri. Missili che avevano anche danneggiato una struttura militare israeliana. E ora, dopo la morte del capo della sua forza d’élite, è probabile che la tensione aumenti in maniera esponenziale. Il timore è stato espresso anche da Bruxelles, che si inizia a muovere per arginare questa pericolosa escalation Ieri, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la Politica estera, Josep Borrell, ha comunicato attraverso il proprio profilo su X di avere incontrato Blinken in Arabia Saudita e di avere avuto un confronto “sui nostri colloqui nella regione e gli sforzi per ridurre la tensione, alleviare la catastrofe umanitaria in corso a Gaza e rafforzare il ruolo indispensabile delle Nazioni Unite”.

Ma la preoccupazione dell’Ue e degli Usa va di pari passo con una situazione che desta sempre più allarme e da cui non sembra esservi una via d’uscita né rapida né facile da individuare. L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, in una nota congiunta con il ministro della Difesa Yoav Gallant, ha confermato quello che da settimane vanno ripetendo i vertici politici e militari dello Stato ebraico, e cioè che la guerra “continuerà per molti mesi”. Difficile dire se si tratti di affermazioni vere, di propaganda interna, di un modo per alzare la posta nei negoziati sotterranei con Hamas o per mostrare la propria autonomia nei confronti degli alleati. In ogni caso, il messaggio che arriva dal governo israeliano è chiaro: “Al fine di continuare a portare avanti il conflitto per molti altri mesi, abbiamo bisogno di supporto internazionale e stiamo lavorando per garantirlo”.

Per gli Usa, la speranza è che si giunga presto a una nuova fase della guerra basata su raid chirurgici e un impegno sempre meno massivo delle forze di terra e dei bombardamenti. E da Israele, il portavoce delle Israel defense forces Daniel Hagari ha confermato che il conflitto si sta evolvendo proprio in questa direzione. Ma se l’obiettivo di Netanyahu rimane quello di sradicare le forze di Hamas dall’exclave palestinese, l’impegno non può essere ridotto rapidamente. E lo conferma anche il comunicato dell’esecutivo. Inoltre, resta in piedi il tema degli ostaggi. Il primo ministro israeliano è sotto pressione per l’assenza di negoziati che arrivino a una nuova liberazione di un buon numero di rapiti, e mancano informazioni sicure sul destino delle persone ancora nelle mani di Hamas o delle altre fazioni della Striscia.

Ieri, il Jihad islamico palestinese ha mandato un video in cui un ostaggio, Elad Katzir, chiede alle autorità israeliane di accettare un accordo per lo scambio di prigionieri e di “fermare questo sterminio”. Lo sfruttamento degli ostaggi nei video fa parte delle armi usate dalle organizzazioni palestinesi, ma ricorda anche l’enorme spada di Damocle che pende sul governo di Israele. Un tema che limita anche le operazioni contro i vertici di Hamas. Secondo il giornale israeliano Israel Hayom e l’ex capo dell’intelligence militare Amos Yadlin, i servizi dello Stato ebraico saprebbero dove si trova Yahya Sinwar (su cui sarebbe stata messa una taglia di 400mila dollari), ma non si muovono perché circondato di persone sequestrate usate come merce di scambio o, peggio ancora, come scudi umani.