Lo scenario
La pace di Trump è in ritardo: Putin intensifica le operazioni militari per guadagnare peso nelle trattative. UE presa da frenesie

Le due (piccole) potenze nucleari europee vorrebbero inviare “lontano dal fronte”, appena dopo il cessate il fuoco, un contingente “di rassicurazione” in Ucraina. Nel frattempo, Putin vorrebbe mettere Kiev in “amministrazione controllata sotto le Nazioni Unite”; la Commissaria Europea per la “gestione delle crisi” (qualcuno sapeva che esistesse?) mostra allegramente la “borsa della sopravvivenza” (max 72 ore, si intende!); e sul ReArm Eu si discute soprattutto guardando ai bilanci e ai ritorni per le industrie nazionali.
Il nostro Ministro Guido Crosetto ha dimostrato pragmatismo, dando finalmente sostanza al consueto rito bizantino della “presentazione alle Camere delle missioni internazionali”. Ha spiegato con chiarezza la posizione del Governo (speriamo, visti alcuni dei compagni di viaggio) per l’invio di un contingente nazionale nell’ambito di una forza di pace, di interposizione o di rassicurazione: “Calma! Cessino le bombe e vengano definite le condizioni al contorno”. Non ha parlato di Nato, giustamente; né di Onu, perché, se piace a Putin, la cosa puzza; né di Ue, in linea con il concetto del ReArm: armiamoci ma ognuno difende se stesso in modo “concertato” (male, aggiungiamo noi); ma una cosa l’ha detta: “L’Europa deve parlare con una sola voce!” Ben fatto – Bravo Zulu! si dice in Marina.
La Pax trumpiana tarda a venire, un asintoto tendente all’indefinito. Mentre la Russia di Putin preme, bombarda, intensifica le operazioni militari per guadagnare terreno e peso nelle trattative, l’Europa sembra presa da una frenesia di iniziative prive di una prospettiva che guardi al di là del contingente. Eravamo convinti di condividere, con gli Americani, un ruolo di tutela dei valori occidentali rivelatosi meno condiviso del previsto. Trump e soci hanno tolto il velo alla nostra effimera sicurezza di “parassiti” (il termine usato resta offensivo e non ricevibile). Il rude risveglio non ci ha portato a ragionare con lucidità, anzi sembra quasi aver attivato una sindrome parossistica, propria di chi non sa da dove cominciare. Occorre un onesto e attento esame di coscienza sui nostri valori così come i nostri disvalori.
Sterili polemiche
I primi per elevarli a comune denominatore della nostra identità, i secondi per limitarne i danni, soprattutto per le giovani generazioni. Si assiste invece, un po’ ovunque, a sterili polemiche (“Ventotene”) e a esternazioni a misura dell’elettorato in un frangente che richiederebbe una visione ispirata. Né emergono leader europei capaci di guidare piuttosto che assecondare la pubblica opinione. A peggiorare il tutto c’è un evidente impoverimento culturale: buonsenso e onestà intellettuale sono sopraffatti dall’istinto e dal conformismo delle opinioni precostituite che svolazzano sui social.
Torniamo a meditare
Le minacce che si profilano sono ben maggiori del solo conflitto in Ucraina e richiedono con urgenza scelte coraggiose. Torniamo dunque a meditare, guardando oltre l’orizzonte, sull’idea di un nocciolo duro federale, inizialmente basato su poche Nazioni della “Old Europe”. Uno Stato federale, inizialmente di “volenterosi”, cui delegare la vecchia e ritrita Pesd (Politica Estera di Sicurezza e Difesa), la cooperazione industriale, la ricerca e sviluppo. L’Ue conserverebbe inalterate le proprie competenze, inglobando con voce unitaria anche lo Stato Federale, e gli Stati Ue manterrebbero l’autonomia in tutti gli altri settori, dal welfare, alla sanità, alle infrastrutture ecc.
Non è stato così anche per l’euro? Iniziò un gruppo ristretto di Stati (l’Eurozona), che poi senza forzature ha aggregato gli altri. Oltre a disporre di un esecutivo capace di gestire unitariamente le crisi anche a favore dei non federati, si potrebbe ottenere rapidamente (anche grazie a 80 anni di Nato) una solida integrazione militare e del relativo comparto industriale, evitando ridondanze. Nessun timore di spaccare l’Unione, lo è già con sintomi più o meno evidenti. Piuttosto, proprio questo nucleo potrebbe catalizzare un progressivo consolidamento in senso federale e rafforzare quel “pilastro europeo” della Nato, auspicato (almeno a parole) da tutte le amministrazioni Usa? Un sogno che guarda lontano. Ma non erano dei sognatori De Gasperi, Adenauer o gli stessi esuli di Ventotene, che durante e subito dopo una terribile guerra europea diedero corpo alla Ceca e poi ai trattati di Roma?
La deterrenza
Tornando all’oggi, la prima qualità per affrontare credibilmente le molte sfide di questo secolo si chiama resilienza. La seconda è la deterrenza, diretta conseguenza della prima. Resilienza militare non significa solo i necessari sistemi d’arma, ma ancora logistica, capacità di sostenere operazioni prolungate, tenuta e determinazione del personale (stamina), unicità di comando e rapidità decisionale. A premessa e sostegno di ciò sono indispensabili altri due elementi. Resilienza civile: comprensione e condivisione dei problemi legati alla sicurezza, coesione e solidarietà sociale nei momenti difficili, capacità di gestire le crisi non militari come ci ha drammaticamente rivelato il Covid. E soprattutto, resilienza politica, per costruire il presente e disegnare il futuro, ovvero la volontà di ridare una dimensione sostanziale al Vecchio Continente, con la lungimiranza e il coraggio dei nostri padri fondatori. Un’Europa politicamente coesa e consapevole del suo ruolo, rispettata e ancora capace di dare al mondo la sua preziosa impronta.
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