È trascorso un anno dall’inizio della guerra in Ucraina. Il Presidente Zelensky da ex comico guardato con diffidenza è diventato il prototipo dell’eroe americano. La guerra ha portato centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati senza prospettive di un cessate il fuoco. Il punto è che nonostante la ricorrenza dovrebbe portare ad una seria ed obiettiva riflessione rispetto a quello che è successo in questi mesi, nessuno sembra pensare alla pace.

All’interno del fronte occidentale c’è un totale appiattimento rispetto alle richieste ed alle posizioni del Presidente Zelensky. Il Presidente si è comportato come se stesse su un set cinematografico mentre centinaia di persone muoiono ogni giorno. Non si tratta certo di difendere Putin, ma di rendersi conto che scavare un solco sempre più profondo nei confronti della nascente alleanza cino/russa (alleanza favorita dal protrarsi della guerra) avrà effetti molto gravi con concreti rischi di arrivare ad una guerra mondiale.

Senza contare il fatto che la diretta conseguenza dell’uso delle armi che inviamo all’Ucraina è l’inesorabile aumento del numero dei morti. Un giudizio obiettivo imporrebbe di riconoscere che l’esaltazione e la santificazione di Zelensky (oggi invitato addirittura al G7 ) è stato ed è un grave errore. L’Ucraina andava e va aiutata, certamente, ma senza mettere continuamente benzina sul fuoco del conflitto e, soprattutto, senza farci trascinare su questo terreno da Zelensky.

Invece, in un delirio collettivo, il presidente ucraino si permette addirittura di entrare nelle nostre questioni interne, commentando le dichiarazioni di Berlusconi. Ci si chiede, Berlusconi a parte, dove si siano rintanati i pacifisti. Anche in una vicenda drammatica come quella della guerra in Ucraina emerge uno di mali della nostra politica: quello di essere caratterizzata da pregiudizi e steccati ideologici.