Da pentito ritenuto super affidabile a calunniatore inattendibile.
È l’incredibile parabola dell’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara, secondo la Procura di Milano. Di cui è stato principale teste nel processo contro i vertici del colosso petrolifero, accusati di corruzione internazionale e poi tutti assolti in primo grado. Amara è ora davanti al gip milanese Guido Salvini, che dovrà decidere il mese prossimo se rinviarlo a giudizio o meno per il reato di calunnia nei confronti di una quarantina di alte personalità dello Stato, politici, magistrati, generali dei carabinieri e della guardia di finanza.
Ieri Salvini ha respinto il tentativo estremo di Amara di spostare il processo da Milano a Brescia essendo fra le parti un magistrato in servizio nel capoluogo lombardo e la cui posizione è stata già stralciata per competenza territoriale.
L’ex avvocato dell’Eni, originario di Siracusa, davanti ai pm di Milano aveva riempito pagine e pagine di verbali dove, da un lato accusava l’amministratore dell’Eni Claudio De Scalzi ed il predecessore Paolo Scaroni di aver pagato tangenti al governo nigeriano, e dall’altro svelava l’esistenza di una loggia super segreta chiamata Ungheria per pilotare le nomine dei magistrati al Consiglio superiore della magistratura ed aggiustare i processi.

Le verità di Amara furono prese per ‘oro colato’ dai magistrati che imbastirono la maxi inchiesta contro l’Eni ipotizzando il pagamento della tangente più grande mai pagata di una azienda italiana: oltre un miliardo di euro.
Che fosse un falso pentito era, però, storia nota.
Nel 2015, Amara aveva presentato alla procura di Trani degli esposti nei confronti di Emma Marcegaglia, ex presidente di Confindustria, Paola Severino, ex ministro della Giustizia e preside della Luiss, Roberto De Sanctis, un imprenditore vicino a Massimo D’Alema.
Secondo Amara, i tre avevano commesso negli anni una serie indefinita di reati, fra cui anche il traffico illecito internazionale di rifiuti.
Le accuse, rivelatesi infondate, erano costate ad Amara, poi reo confesso, una imputazione per calunnia e corruzione in atti giudiziari.
Reati che l’ex avvocato esterno dell’Eni avrebbe voluto patteggiare anche con il consenso della procura di Potenza, dove nel frattempo era stato incardinato il procedimento.
Sulla strada del patteggiamento Amara aveva però trovato la gip lucana Teresa Reggio la quale, nel rigettare l’istanza, aveva usato parole di fuoco contro di lui.

“Per Amara il crimine rappresenta un valido ed alternativo sistema di vita”, aveva scritto nell’ordinanza di rigetto la Gip, sottolineandone la “personalità negativa, desumibile anche dalla modalità della condotta, connotata da estrema e preoccupante spregiudicatezza”.
Quello di Potenza sarebbe stato l’ennesimo patteggiamento per Amara dopo quelli di Catania, Roma e Messina.
Amara ha patteggiato complessivamente ben 42 reati con poco meno di cinque anni di reclusione. Un dato più unico che raro.
Solamente a Roma, con sentenza del febbraio 2019, aveva patteggiato 2 anni e 6 mesi per 20 reati che spaziavano dalla corruzione in atti giudiziari, all’emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.
A Messina, a febbraio del 2020, aveva patteggiato 19 reati, fra cui associazione per delinquere, falso ideologico, minaccia a pubblico ufficiale, induzione indebita a dare utilità, oltre alla solita corruzione in atti giudiziari, con una pena di un anno e 2 mesi. Il successivo mese di novembre, in Corte di Assise di Roma, aveva poi patteggiato un mese di reclusione per favoreggiamento personale.

In questi anni nei confronti del ‘pentito’ Amara le Procure interessate (Roma, Messina, Perugia e Milano) non hanno però mai proceduto al sequestro del suo patrimonio frutto di condotte illecite. In questo senso il solo sacrificio richiesto ad Amara è stato il versamento volontario di poche migliaia di euro in occasione di questi numerosi patteggiamenti e che non hanno certo inciso sul suo ingente e milionario patrimonio che le indagini avevano fatto emergere.
Che fossero collaborazioni tarocche lo affermò egli stesso quando venne interrogato a giugno 2021 a Potenza. Parlando di un suo coimputato, Giuseppe Calafiore, Amara disse che “quando fu sentito, un po’ come me, raccontò della favola di Pinocchio”.
La resa dei conti per Amara è arrivata.