Il mondo avanza rapidamente, e con esso le possibilità tecnologiche che sembravano una volta lontane fantasie futuriste. Ma i problemi da risolvere più che tecnologici potrebbero essere di fiducia sociale.

Che cosa è IT-Alert

IT-Alert è il nuovo servizio di allerta all’improvviso che è in queste settimane in campagna pubblicitaria sui media e social media. IT-Alert scodinzola sullo stile “what’s old is new again”, dando nuova vita ad una tecnologia vecchia (e per certi versi antiquata) ma incredibilmente ben distribuita, quella del cell-broadcast ed adattandola ad un servizio di allarme pubblico che secondo le stime può raggiungere fino al 70%-85% della popolazione di età superiore ai 12 anni entro pochi secondi dall’invio del messaggio.

La tecnologia di cell-broadcast si basa sulla diffusione di messaggi a tutti i dispositivi all’interno di un’area di copertura specifica, ai dispositivi “agganciati” alla “cella” telefonica (da cui prende il nome). Una versione high-tech degli annunci pubblici che una volta venivano fatti con altoparlanti fissati sulle auto, solo che in questo caso invece di disturbare la quiete della serata con il rumore di un altoparlante gracchiante, l’annuncio arriva direttamente sugli smartphone, ad un volume rispettosamente deciso – entro certi limiti – dal padrone del dispositivo stesso.

Una sorta di vecchia signora della comunicazione che ha ricevuto un completo lifting e si sta imponendo ancora nel moderno mondo degli smartphones.
Ciò che rende questa vecchia tecnologia nuova e affascinante con IT-Alert è che le capacità di invio non sono più limitate ai gestori telefonici: ora enti terzi come il Dipartimento della Protezione Civile possono utilizzare il cell-broadcast per inviare avvisi d’emergenza in caso di maremoto generato da un sisma, collasso di una grande diga, attività vulcanica, incidenti nucleari, incidenti rilevanti in stabilimenti chimici o anche più prosaicamente (ma non non meno utilità o potenziale pericolo) precipitazioni intense.

Noi e l’Europa

IT-Alert non è solo un prodotto dell’innovazione italiana, ma fa parte di un impegno più ampio a livello di Unione Europea. Questo servizio è l’espressione italiana di EU-Alert, un termine generico per il servizio di allarme pubblico europeo basato sulla tecnologia Cell Broadcast. EU-Alert è compatibile con lo standard Wireless Emergency Alerts (WEA) utilizzato negli Stati Uniti..

EU-Alert è il frutto di un impegno decennale per stabilire un sistema di allerta che abbia un impatto diretto sulle vite dei cittadini europei. Gli sforzi per la creazione di un tale sistema consolidato iniziarono nel 2012, dando vita a una soluzione di portata continentale che permette di affrontare meglio minacce e pericoli d’emergenza, un sistema già implementato in molti paesi, come ad esempio Francia, Olanda, Spagna, Germania, Danimarca, Gracia.

Il Fantasma del Controllo

Nonostante il chiaro beneficio della tempestività e dell’accuratezza delle informazioni che IT-Alert offre, la sua implementazione ha innescato online un vespaio di controversie. Al centro di esse la paura della geolocalizzazione e del controllo governativo, insieme ad un’insidiosa combinazione di disinformazione e bassa conoscenza tecnologica.

La paranoia è comprensibile: in un’era in cui la nostra vita digitale è spesso un libro aperto, la paura della geolocalizzazione e del controllo da parte dello stato attecchisce facilmente. Ma qui c’è una verità fondamentale che i detrattori di IT-Alert sembrano ignorare: questa tecnologia non può localizzarci. Non ne ha FISICAMENTE le capacità: è meramente un sistema ad una sola via, che non è in grado di “rimandare” nulla al mittente, mittente.

Non che peraltro – qualora lo facesse – aggiungerebbe informazioni a quelle già conosciute: gli spaventati sembrano infatti ignorare che in qualunque momento i gestori telefonici già conoscono a quale cella siamo agganciati, perché è prerogativa per fare funzionare la connessione telefonica e di rete…
Ma nel caso di IT-Alert l’unico paragone azzeccato è quello di ascoltare un programma radiofonico: lo show può arrivare a noi, ma non può sapere se lo stiamo ascoltando.
Però, la confusione persiste, perché non tutti sanno come funziona. E questo ci catapulta nel cuore di una questione più importante.

Tecnologia: Una Spada a Doppio Taglio

Nel suo ampiamente lodato saggio “Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello ” (2010, Cortina Editore), Nicholas Carr ci ricorda che la tecnologia non arriva mai nelle nostre tasche mai senza un prezzo: mentre ci semplifica la vita, erode anche la nostra capacità di concentrarci, di riflettere profondamente. Potremmo vedere una diretta diramazione di questa dinamica nelle polemiche su IT-Alert.

Da un lato, abbiamo un servizio che vuole proteggerci, offrendo avvertimenti tempestivi su pericoli imminenti. D’altra parte, abbiamo una popolazione che si preoccupa instancabilmente, preda di tempeste di opinioni online e di una mancanza di competenza tecnologica che provoca vane paure. Il fatto che molte persone non comprendano come funziona veramente IT-Alert segnala una sorta di nuovo il grave problema della totale mancanza per ampie fasce della popolazione di quella “alfabetizzazione tecnologica” senza la quale è impossibile sviluppare la capacità di sfruttare appieno le innovazioni digitali.

Quindi, mentre accogliamo il nuovo servizio di IT-Alert come un’evoluzione positiva nella maniera in cui le informazioni sulle emergenze sono condivise, si apre anche uno spazio per una fondamentale introspezione sulla nostra relazione con la tecnologia. Un momento per fermarci e chiederci: “Fino a che punto comprendiamo realmente gli strumenti digitali che utilizziamo quotidianamente?”

Mentre ci colleghiamo in modi mai precedentemente immaginabili, ci perdiamo anche nell’interpretazione delle nuove informazioni. L’esplosione di nuove tecniche e strumenti digitali ha superato la nostra capacità di comprenderli e il risultato, come si vede nelle polemiche su IT-Alert, è una sorta di panico digitale diffuso. Magari si spera non “dominante”, ma di certo diffuso.

Ecco forse da dove cominciare con uno sforzo: dobbiamo contrastare la nostra ansia digitale con l’educazione e la comprensione. Perché una società che teme la propria tecnologia è una società che ne è schiava. Al contrario, una società che la comprende, la domina.
Proprio come il dipartimento della Protezione Civile può ora utilizzare la tecnologia cell-broadcast per proteggere i cittadini, dobbiamo imparare a padroneggiare le tecniche. Comprendere che abbiamo il controllo della nostra tecnologia e non il contrario.

La grandezza dei vantaggi offerti da questa e, senz’altro, dalle innumerevoli altre tecnologie digitali che seguiranno – risiede nel nostro desiderio e nella nostra capacità di capire, di fidarci, e di farne buon uso. Magari dubitando sempre, come tanti di noi fanno ed io per primo, ma colmando il dubbio con un po’ di sano studio e ricerca.
È un’ode all’innovazione e un ricordo del nostro continuo ruolo nella danza con la tecnologia: un ruolo che richiede un passo solido, ma anche un orecchio attento alla musica.

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Professore a contratto (in Corporate Reputation, in CyberSecurity e in Data Driven Strategies) è Imprenditore, ha fondato The Fool, la società italiana leader di Customer Insight, co-fondato The Magician un Atelier di Advocacy e Gestione della Crisi, ed è Partner e co-fondatore dello Studio Legale 42 Law Firm. È Presidente di PermessoNegato APS, l'Associazione no-profit che si occupa del supporto alle vittime di Pornografia Non-Consensuale (Revenge Porn) e co-fondatore del Centro Hermes per la Trasparenza e i Diritti Digitali. È stato Future Leader IVLP del Dipartimento di Stato USA sotto Amministrazione Obama nel programma “Combating Cybercrime”, conferenziere, da anni presenta "Ciao Internet!" una seguita video-rubrica in cui parla degli Algoritmi e delle Regole che governano Rete, Macchine e Umani. Padrone di un bassotto che si chiama Bit, continua a non saper suonare il pianoforte, a essere ostinatamente Nerd e irresponsabilmente idealista.