Un bambino di tre anni sbarca a Lampedusa: non parla, non ride, non piange
La Pietas nel deserto e i migranti bambini: una storia che apre a riflessioni profonde
Mentre il dossier migranti è al centro dell’agenda del Governo e riempie le cronache, da Lampedusa arriva una storia che paralizza, per un momento, ogni dibattito e apre a riflessioni più profonde: quella del bambino ritrovato solo, nel deserto.
Il dossier migranti occupa le cronache di questi giorni e i pensieri del Governo: migliaia di disperati si riversano sulle coste di Lampedusa a un ritmo inarrestabile, un’emergenza che sta mettendo in ginocchio isolani, sindaci, forze dell’ordine. Ma mentre il dibattito pubblico si divide e concentra fra irrealistici auspici di accoglienza indiscriminata e altrettanto fantasiosi blocchi navali promessi e mai realizzati, da Lampedusa arriva una storia che paralizza, per un momento, ogni dibattito e apre a riflessioni più profonde.
Un bambino di soli 3 anni è arrivato infatti a bordo di un barchino, accompagnato da un ragazzino minorenne. Non parla. Non ride. Non piange. Atarassico, racchiuso nel silenzio e in un dolore che una creatura così piccola non dovrebbe mai provare. Il suo accompagnatore racconta di non conoscerlo e di averlo trovato nel deserto mentre compiva quella traversata infernale verso la Mecca europea. “Non potevo lasciarlo morire da solo nel deserto, così l’ho portato con me e abbiamo fatto il viaggio insieme”, ha spiegato con semplicità il suo salvatore.
Come Enea che porta in salvo sulle spalle l’anziano padre Anchise in fuga da Troia in fiamme, il ragazzino prende la mano del bambino e lo trasforma nel suo compagno di viaggio verso la speranza di una terra nuova. È la Pietas dei greci, la Carità cristiana, la Saddka islamica, che identica si ripete attraverso i millenni.
Il ragazzino che affronta il viaggio con il bambino silente è l’immagine della Tradizione concepita come valori non negoziabili che si ripetono dall’alba dei tempi.
“Pensandoci bene, apparteniamo anche noi alla medesima storia, che continua attraverso i secoli! Non hanno dunque una fine i Grandi Racconti?”. “No, non terminano mai i racconti”, disse Frodo. “Sono i personaggi che vengono e se ne vanno, quando è terminata la loro parte. La nostra finirà più tardi… o fra breve”, scrive Tolkien ne Il Signore degli Anelli.
E di fronte a questo racconto che si ripete, di fronte alla profonda e semplice umanità di questo gesto, a cui siamo disabituati nell’Occidente sempre più preda del relativismo, del materialismo, dei diritti individuali che diventano individualismo e dell’invenzione di nuovi diritti a scapito dei più deboli, non possiamo che interrogarci su quello che è il compito della nostra società di fronte al fenomeno delle migrazioni.
Non è la storia di un bambino che può influenzare le decisioni di un Governo. Ma è una storia come questa, che deve far capire come il compito dell’Europa sia ben più profondo di un mero dovere di accoglienza o obbligo di respingimento.
Parte dall’instabilità dell’Africa, dalle responsabilità dell’Occidente ma anche dei Governi africani che poco si curano dei loro popoli e molto dei propri guadagni.
Il loro arrivo in massa è diventato anche un fattore di influenza politica. A partire dal fatto che viene utilizzato per rafforzare i venti di antieuropeismo, mettendo di fronte agli occhi l’incapacità dell’Unione europea di dare risposte.
Di fronte alle ondate migratorie, l’Europa torna ad essere un continente e non un progetto comune. Il gesto di Emmanuel Macron di schierare l’anti terrorismo e i droni per fermare gli arrivi di migranti da Ventimiglia dimostra come ogni Stato, su questo aspetto, ragioni per il proprio esclusivo interesse. E che il problema non sia solo il comportamento di Ungheria e Polonia, che rifiutano le quote di migranti. Il problema è che l’Europa non ha gli strumenti per agire come un corpo solo.
Eppure, Lampedusa non è solo il confine d’Italia. È il confine d’Europa. Un’Europa che per sopravvivere a se stessa deve cambiare dalle sue fondamenta. A partire da una rivoluzione culturale: deve riconoscere la sua storia, le sue radici e avviarsi verso un’evoluzione del processo di integrazione. Operare in Africa come una cosa sola e così nel Mediterraneo e nell’accoglienza e nell’integrazione e anche nei necessari rimpatri. Perché i piccoli che camminano soli nel deserto siano sempre di meno.
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