Democrazie in Progress
La politica dei quattro cantoni: la democrazia Svizzera fra pregi e contraddizioni

La Svizzera è da sempre avvolta da un affascinante alone di mistero: il collante fra le 3 culture diverse al proprio interno, la sua neutralità, il suo essere attore silente ma al centro del continente europeo, il coinvolgimento diretto dei cittadini alle decisioni più importanti della vita del Paese, anche a livello governativo, la ricetta della cioccolata forse la più buona al mondo, le grandi personalità nel mondo dello spettacolo e dello sport. Insomma, un piccolo grande Paese, che solo recentemente ha sdoganato la sua storica neutralità schierandosi dalla parte del mondo libero, occidentale, a difesa dell’Ucraina. Oltre agli storici indicatori e a ciò sopraelencato, ci ha pensato l’OCSE di recente a dirci un altro record del paese elvetico: infatti la Svizzera è il Paese dell’area OCSE nel quale i cittadini hanno il più alto tasso di fiducia nel proprio Governo nazionale, inteso come istituzione pubblica e non guida politica del momento, con circa il 90% di fiducia.
Le ragioni sono tante di questo indice di gradimento: le cose in Svizzera funzionano, c’è una moneta forte, c’è grande trasparenza nelle questioni pubbliche, i servizi hanno standard adeguati e la qualità della vita è sicuramente molto elevata. In un contesto del genere è semplice che si generi una fiducia diffusa, e lo vediamo dai lusinghieri risultati di molti altri Paesi nella colonna di sinistra, a differenza della colonna nella quale noi abbiamo solo la magra consolazione di essere nella parte alta della classifica di destra.
Il vero tema è: è sufficiente ciò a consolidare questo livello di fiducia?
La Svizzera è comunque un Paese che ha tutte le caratteristiche per poter avere anche elementi di criticità interna: frammentazione etnica e culturale, società che invecchia molto in fretta, una neutralità che, anche se l’ha messa a riparo da conflitti, finora le ha però impedito lo sviluppo di una forte rete di alleanze in un mondo sempre più globalizzato dove avere dei partner è fondamentale, aver dovuto affrontare il grosso nodo del segreto bancario, quindi la sua centralità nel mondo finanziario che è la sua forza ma anche la sua più grande vulnerabilità. Nonostante ciò, è riuscita però sempre ad affrontare queste criticità e ad uscirne comunque in modo credibile verso i propri cittadini.
È forse quindi necessario ritenere che, l’elemento che è riuscito a dare stabilità, equilibrio, e garanzie al sistema, sia stato l’alto tasso di coinvolgimento dei cittadini all’interno dell’arena decisionale pubblica attraverso il ricorso costante ai referendum come strumenti di democrazia diretta e partecipativa.
Se un governo è forte di uno Stato omogeneo, compatto, allineato, opererà tranquillo, fiducioso nel fatto che i cittadini concepiscono autenticamente la delega come un mandato pieno nell’esercizio dei propri poteri. Questo non significa che gli svizzeri non deleghino le proprie istituzioni o il governo, ma è forse parte di un più ampio patto non scritto di reciproca e leale collaborazione avere contezza della complessità, dei cittadini verso il governo e viceversa, che porta quindi ad accettare che, un cambiamento importante portato avanti senza ascoltare nelle fasi intermedie i cittadini può essere foriero di scontri, fratture, che con il coinvolgimento possono essere prevenute.
Non è un caso che in Svizzera si sia chiamati continuamente a votare tramite referendum, e in via obbligatoria quando lo Stato deve riformare la costituzione o ad esempio imporre nuove tasse, così da rendere la riscossione dei tributi un fatto condiviso e accettato dal basso, seguendo un po’ l’insegnamento storico d’oltreoceano “No Taxation without representation”. Senza parlare poi dell’avanzato livello di un approccio definito di “governo collaborativo”, dove all’interno dei processi decisionali, locali e nazionali, vengono continuamente invitati portatori d’interesse di varia natura, organizzati workshop, focus group, tavoli di progettazione partecipata con gli stakeholders e tante altre iniziative propedeutiche per poi giungere alle fasi deliberative e istituzionali.
A questo punto sorge una domanda spontanea in chi legge: quindi se c’è coinvolgimento alto in termini di democrazia diretta, c’è grande fiducia nelle istituzioni di governo, l’affluenza alle urne per le elezioni politiche è alta, no? Ebbene, la risposta è: No. In Svizzera ha votato l’anno scorso alle elezioni federali meno del 47%, vedendo oggi al governo un Cancelliere del partito verde liberale.
Come mai? Probabilmente perché sentendosi pienamente coinvolti nella codecisione pubblica, non avvertono l’esigenza di dover riconfermare la loro adesione anche in sede di elezioni politiche, vedendole non come il cuore della loro democrazia, bensì come un pezzo, importante senza dubbio, ma non fondamentale.
E’ un Paese strano la Svizzera, o forse rappresenta ciò che potrebbe diventare l’Occidente domani, dove invece di considerare l’affluenza alle urne come l’unico metro di giudizio della qualità della democrazia, sono considerati altri i parametri che consentono di valutare complessivamente un buon livello di coesione, fiducia e coinvolgimento nelle istituzioni, portando quindi a investire in queste nuove forme di partecipazione e andando più incontro alle esigenze di una popolazione sempre più travolta dalla complessità del mondo che ci circonda e vuole dire la sua ma in modo misurabile, circostanziato e dedicato, non generalizzato.
È meno romantico del plebiscitarismo di un tempo e delle folle oceaniche nelle piazze? Probabile, ma potrebbe essere più funzionale, e in tempi in cui c’è molto poco che funziona, beh, non può far certo male.
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