Per questo bisognerebbe rapidamente rafforzarle, le democrazie, anziché abbatterle colpevolizzandole e deprivandole di senso. Se si continua a considerarle solo un costo da abbattere, dimenticandone il valore e la funzione di garanzia, ci consegneremo inesorabilmente alla nuova dittatura del saccheggio umano. Occorre svolgere una potente e visionaria operazione culturale che rafforzi invece le democrazie iniettando in esse la proteina principale, che non sono le regole uguali per tutti, ma l’Uomo. Sono gli uomini a fare le democrazie, e non potranno esserci democrazie funzionanti se non si tornerà a porre al centro l’Uomo e le sue capacità, anziché cercare di neutralizzarlo perché inefficiente, e quindi sostituibile da algoritmi.  Siamo certi che il totem dell’efficienza sia quello da adorare? Lo abbiamo fatto negli ultimi decenni ma non ha funzionato. Forse avrà funzionato per i paesi anglosassoni, che sono riusciti ad esportare anche da noi questa “moda”. Ma noi non siamo anglosassoni, siamo diversi. Abbiamo elaborato l’Umanesimo, abbiamo innalzato nel mondo il sublime concetto di “persona”, abbiamo una sensibilità per la vita e per l’umano che ha fatto e fa la nostra indiscutibile qualità. La sfida tecnologica è per tutti un’opportunità. Ma lo è ancora di più per il nostro Paese. Possiamo arrenderci ad essa oppure coglierla per tornare a mettere al centro l’Uomo, come sappiamo fare noi da secoli, e ricominciare a porci quelle questioni fondamentali che dalla seconda guerra mondiale in avanti abbiamo smesso di affrontare. Il criterio può e deve tornare ad essere quello della funzionalità dell’uomo, non quello della sua efficienza.

Se rafforziamo l’Uomo, se ricominciamo a parlare dell’Uomo e di come funziona, troveremo nella tecnologia una grande alleata. Altrimenti le cederemo armi e bagagli, saremo governati da un algoritmo e abbandoneremo per sempre il piacere sofferente del libero arbitrio.