L'analisi
La politica è piena di leader, ma nessuno si assume la responsabilità sociale

«Partiti inidonei ad assumersi la guida responsabile degli affari dello Stato». Così Max Weber si pronunciò su Weimar e sembra riecheggi la condizione italiana. La debolezza di un sistema politico è spesso derivante dalle caratteristiche dei partiti. Viceversa, l’assunto recente della politica italiana è che essa soffra di eccesso di leadership, di una non bene specificata personalizzazione. Il cambiamento organizzativo dei partiti, in misura rilevante del loro ruolo e, solo in minima parte, la riduzione del potere esercitato nella società, hanno indubbiamente lasciato spazi ai capi degli stessi. Che si tratti di partiti più o meno personali non rileva. Essere “capi” o proprietari indiscussi di un partito non è sinonimo di leadership, ma solo di comando. Pertanto, l’aspetto teorico da analizzare è relativo alla natura, alle caratteristiche della leadership. Il punto nodale, cruciale per capire la situazione politica e gli sviluppi probabili dei prossimi anni, è la carenza, la debolezza della leadership politica, e partitica in Italia.
Ripetuto come un mantra, non smentito né misurato, ma come tale semplicemente dato per assodato, il ruolo dei capi partiti è stato reificato, confondendo o sovrapponendo la loro forza con la loro presenza. Quantità e qualità sono state spesso intese come sinonimi di due concetti in realtà distinti e distanti, a volte antinomici. Da un lato, il livello di concentrazione di funzioni, simboli e ruolo nelle mani dei capi, dall’altro l’esercizio del potere che manifesta la qualità della leadership, la sua natura. Da distinguere, tra l’altro, dal concetto di classe dirigente.
A fronte di un malinteso concettuale, di diffusa pigrizia analitica, il pensiero dominante e propinato ripete acriticamente la fabula della leadership onnisciente e onnipotente. Una profezia che si auto avvera. Nel mondo politico esistono uomini (e talvolta anche donne) capaci di esprimere ed esercitare leadership, persino carismatici. Li ritroviamo nei sistemi di governo presidenziali, semipresidenziali e parlamentari. In contesti democratici e in regimi autoritari o totalitari. Donald Trump, Xi Jinping, Barack Obama, Tony Blair, Ignacio Lula da Silva, Recep Tayyip Erdoğan, Angela Merkel emanano carisma, forza politica, capacità di leadership individuale. Mobilitano i propri elettori, e in talune occasioni riescono a coinvolgere anche il resto della popolazione, persino al di là dei confini fisici dei Paesi che governano. La leadership può essere personale, ma non si esaurisce in essa. Accanto alla “personalizzazione” del ruolo di “capo” è cruciale la capacità di costruire consenso facendo leva non solo sui sondaggi (che spesso misurano la popolarità, la notorietà e solo un malinteso “gradimento”), sulle emozioni transeunte ed effimere, ma sulla solidità della visione, del progetto di società che si intende avanzare.
La leadership presuppone abilità di costruzione, mantenimento e ampliamento di un gruppo dirigente, di una squadra di governo. Ma soprattutto che sia abile nel proporre, discutere, difendere e spiegare un progetto di società basato su idee. Una prospettiva, una visione, un modello di società, una meta, una ideologia persino. Il sogno di un cambiamento che possa rappresentare l’identificazione del futuro per vasti settori della società. E invece in Italia siamo quasi all’anno zero. Stuoli di aspiranti e sedicenti leader, proprietari o intestatari di pseudo partiti (spesso sovrastimati nei sondaggi), di popolarità ed esposizione mediatica. Terribile carenza di approfondimento, di speculazione teorica, di progettualità. Sovrabbondanza di piccole proposte caserecce, di circoli dominanti zeppi di conformismo, mentre il principe ha bisogno di confronto, di esperti, di consiglieri e non di confidenti.
Assieme alla debolezza della leadership, e in parte in ragione di essa, in Italia nell’ultimo quarto di secolo c’è stata grande instabilità dei governi e nei governi (rispetto al periodo 1948-1992 allorché c’era stabilità del personale di Governo). Dal 1994 si sono avvicendati 16 governi e 10 presidenti del Consiglio (nello stesso periodo sono stati 8 in Spagna con 4 capi di governo, 7 governi e 3 cancellieri in Germania, 9 in Gran Bretagna con 6 primi ministri). Oltre ad alcune macro-disfunzioni del sistema istituzionale, il vero nodo della politica italiana risiede nella debolezza dei partiti italiani, nella loro natura effimera, aleatoria, priva di identità culturale e ideale.
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