In questi giorni in USA si è acceso un dibattito sull’età media dei politici. Il tutto nasce da una conferenza stampa in cui il senatore repubblicano Mitch McConnell Jr (dove evidentemente Jr indica un ricordo ormai lontano dati i suoi 81 anni) si blocca a metà di una frase durante una conferenza stampa: dopo venti lunghi e interminabili secondi di impasse, viene scortato via da colleghi e assistenti. Ripreso da telecamere, è ovviamente diventato virale su Twitter (pardon, su X) e su TikTok, raggiungendo milioni di visualizzazioni in poche ore con migliaia di commenti.

Il caso McConnell segue di pochi giorni quello della senatrice democratica Dianne Feinstein, novantenne, mostratasi in grande confusione durante una votazione al Senato. Da qua si è aperto il dibattito: gli Stati Uniti hanno un problema con la gerontocrazia in politica? Probabilmente la risposta è sì, anche pensando al probabile duello tra Joe Biden, ottantenne, e Donald Trump, settantasettenne, alle prossime elezioni per il nuovo Presidente. Sta quindi diventando più forte la proposta di inserire, così come in altri settori, un limite di età per l’elezione al Congresso: oggi al Senato il 40% dei seggi è coperto da ultrasettantenni, mentre alle Camera l’età media è di 54 anni.

Nelle scorse elezioni di MidTerm però è stato eletto il primo ragazzo della Generazione Z, Maxwell Frost. Venticinquenne, la sua elezione ha avuto un grande risalto, e vederlo seduto tra i banchi del Congresso più anziano di sempre ha generato non pochi titoli di giornale.

In Italia come siamo messi? Bene, ma non benissimo. L’attuale parlamento ha un’età media di poco più di 51 anni, meno di quella degli USA ma più alta di Paesi europei come Germania (49 anni) o Francia (46 anni). Nel corso degli anni l’età media del nostro parlamento è aumentata costantemente, passando dai 45 anni circa delle prime legislature all’attuale compagine. Sapete quanti deputati con meno di trent’anni siedono oggi alla Camera? Zero. Se invece pensiamo che i giovani siano quelli con meno di quarant’anni, allora il numero sale a 65. Ma il problema è ritenere ancora giovani quelli con poco meno di quarant’anni.

Perché in Italia, così come in USA, c’è poco spazio per i giovani in politica? Partiamo dagli ultimi anni. Crisi economiche e sociali vissute in prima persona o attraverso i propri genitori, scandali politici che hanno occupato le cronache quasi quotidianamente, disastri ambientali ovunque, una percezione di essere sempre all’ultimo posto nell’agenda politica del Paese (spesso con ragione). Se oggi c’è distacco tra i ragazzi e la vita politica attiva forse la responsabilità non è solo da attribuire ai ragazzi: forse è stato fatto poco per evitare un progressivo allontanamento o anche solo per spiegare il mondo attuale.

Pensiamo poi a come si è evoluta l’informazione negli ultimi anni. Instagram, TikTok, Facebook sono ormai canali dove si fa informazione: e la Generazione Z, nativa digitale, è la prima a saperli usare al meglio, non solo per caricare balletti (cit.) ma anche per informarsi, approfondire, capire. Col problema però che spesso le informazioni a disposizioni dicono tutto e il contrario di tutto, perché da nessuna parte come sui social è tutto un derby, un continuo scontro tra chi la pensa in un modo e chi dice il contrario: in un contesto così complesso e sovraccarico è difficile orientarsi, e quando orientarsi diventa difficile la repulsione è una risposta naturale.

C’è poi il significato più profondo della parola rappresentanza. Come possiamo pensare che un ragazzo di diciotto o vent’anni possa sentirsi rappresentato da chi, pensando di fare il giovane, li scimmiotta su TikTok? O da chi condanna ogni forma di protesta etichettando i ragazzi come scansafatiche che pensano solo a stare in piazza?
Attenzione però: se non ci sono giovani al Congresso o nel nostro Parlamento non significa che i giovani non vogliano fare politica. Semplicemente significa che oggi non ci sono giovani seduti lì: la politica viene fatta perlopiù altrove.

Si pensi ai movimenti di Fridays for Future o per i diritti LGBTQ+, alle battaglie condotte sulla salute mentale o sull’istruzione. Si pensi ai nuovi linguaggi, dai meme alle nuove testate editoriali, con cui certi messaggi sono veicolati con forza a un pubblico giovane e non solo. La Generazione Z sta dimostrando che politica non è solo essere seduti su un seggio o votare ogni tot anni.

Politica è partecipare tutti i giorni a battaglie, difendere i valori con mezzi e strumenti nuovi, è l’attivismo 2.0. Ed è per questo che diventa ancora più importante e urgente far sì che i giovani si avvicinino alla politica “tradizionale”, nel luogo sacro dove la politica diventa indirizzo, diventa futuro: il Parlamento. Solo così potremo evitare che cresca l’antagonismo istituzioni – giovani, solo così potremo dare valore all’attivismo che oggi spesso è confinato in piazze e canali social e inascoltato, solo così potremo costruire oggi una società più aperta.

Siamo a pochi mesi dalle elezioni europee, iniziano le prime trattative su accordi e alleanze, il dibattito si sta lentamente accedendo. Sarebbe un bell’esempio se la generazione Z fosse sia parte di questo dibattito, sia parte dei candidati.