Il territorio irpino, alle pendici dell’Appennino meridionale, è da sempre un posto straordinario per la coltivazione della vite e per la realizzazione di grandi vini bianchi e rossi: Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi sono tra le più rilevanti denominazioni italiane, grazie a un lavoro di rilancio della viticoltura iniziato oltre vent’anni fa da alcuni importanti produttori, e che ancora continua nel recupero della tradizione e nello sviluppo delle potenzialità del territorio. In quest’area, il piccolo comune di Paternopoli, uno dei 17 comuni dell’areale del Taurasi, ospita l’Azienda Fonzone, fondata nel 2005 da Lorenzo Fonzone Caccese, medico chirurgo, il cui lavoro prosegue oggi con il sostegno di tutta la sua famiglia, animata dal desiderio di valorizzare queste terre e di realizzare vini di qualità.
Quando tutto è cominciato il colle di circa trenta ettari era quasi del tutto incolto. Oggi è una cantina molto ben avviata che vede l’impegno dei figli e delle mogli e di altri esponenti della famiglia. Nei giorni scorsi a Roma, Silvia Campagnuolo Fonzone e Amedeo De Palma, in rappresentanza della famiglia, hanno presentato la collezione dei vini bianchi. “Siamo una grande famiglia unita dal sogno comune di realizzare vini capaci di raccontare l’Irpinia e i suoi vitigni straordinari”, spiega Silvia. Oggi l’azienda produce 110 mila bottiglie grazie alle uve provenienti da diversi appezzamenti: 12 ettari di Aglianico, 2 di Fiano, 3 di Falanghina e circa due di Greco. I vigneti beneficiano di molteplici esposizioni e di un’altitudine che varia, con suoli sia argilloso-calcarei sia a tessiture più sciolte, di chiara origine sedimentaria, con i torrenti Fredane ed Ifalco che li circondano influenzando il microclima. Tracce della vicinanza con il Vesuvio si ritrovano nel sottosuolo ricco di polvere vulcanica, deposito delle eruzioni avvenute nel corso dei secoli. La cantina produce vini monovarietali proprio con l’intento di valorizzare al massimo le specificità del territorio. Fonzone ha cercato però di distinguersi dalle altre aziende vitivinicole dell’area scegliendo un approccio enologico originale. “Un territorio così straordinario aveva bisogno di mani esperte per esaltarne le caratteristiche: pertanto ci siamo affidati alla maestria di un grande enologo come Luca D’Attoma”, spiega Silvia.
È abbastanza interessante, in effetti, verificare la capacità di combinazione tra due elementi apparentemente contraddittori. Da una parte, la campagna, che, con le sue caratteristiche esprime le peculiarità del territorio e la personalità dei singoli vitigni. Dall’altra parte, la competenza umana, frutto di studio e di sperimentazioni, che può coprire o esaltare le specialità delle denominazioni. Sarebbe sbagliato negare, in questo caso, l’indirizzo tecnico che la mano dell’enologo ha dato a questi vini. Siamo molto lontani dall’idea di abbandonare i vini a se stessi: qui l’intervento del tecnico – se non dello scienziato – è evidente nella cura maniacale dei dettagli, dalle vinificazioni ai contenitori. Sarebbe sbagliato altresì scandalizzarsi per la grande tecnica applicata a questi vini: non c’è nulla contro la natura, bensì si percepisce l’impegno professionale di un artigiano dotato di abilità sartoriali e di un disegno preciso.
Le Mattine Irpinia Falanghina Doc 2021
Il vigneto è situato a 380 metri, in prossimità del torrente Ifalco. L’uva viene raccolta in tre fasi diversi allo scopo di valorizzare diversi momenti della maturazione e per regolare le acidità. La vinificazione prevede una fermentazione malolattica completa, una macerazione in acciaio e diverse microvinificazioni, l’affinamento in anfora e cocciapesto, fino al riposo in bottiglia per tre mesi. Ne emerge una Falanghina abbastanza inusuale e diversa rispetto al classico vino esile da mozzarella e pizza Margherita. Giallo paglierino con riflessi verdognoli, al naso offre profumi di pera e di banana, note di pan brioche e fiori di ginestra e mandarino. Il sorso è grasso e sapido, con una morbidezza al palato che non esclude una discreta salivazione.
Greco di Tufo Docg 2021
I vigneti si trovano ad Altavilla Irpina e Montefusco: terreni argillosi e calcarei con sedimenti tufacei posti a 550 metri. Il Greco è il più rude dei bianchi campani, ricco di struttura e di spalla acida. Non si presta a vinificazioni ardite e per questo l’azienda preferisce proporlo ‘nudo e crudo’, nel totale rispetto della sua essenza. La fermentazione, condotta a basse temperature, si protrae per circa un mese. Il vino ottenuto è affinato in acciaio per cinque mesi, con bâtonnage periodici. Vino intenso, dai profumi di frutta gialla e di pompelmo, al palato è vibrante, fresco e succoso, con quella sferzata da vino di montagna che è davvero apprezzabile. Se la parola ‘mineralità’ può apparire abusata nel mondo del vino, è difficile qui non utilizzarla, dopo aver percepito le sensazioni che provengono dalla parte sulfurea e calcarea del territorio.
Fiano di Avellino Docg 2021
Le vigne si trovano a San Potito Ultra, a un’altitudine di 500 metri con esposizione a sud. Dopo macerazioni di lunga e breve durata in anfora e acciaio, i grappoli sono pressati in maniera soffice. La fermentazione è condotta a temperature tra i 14 e 16 gradi e si protrae per circa un mese. Le masse, a fine fermentazione, vengono assemblate ed affinate in acciaio per otto mesi a temperature inferiori allo zero, su lieviti fini. Il bouquet del vino è floreale, in bocca emerge una acidità setosa e nel retrogusto una lieve nota amara finale. La complessità tipica dell’Irpinia emerge chiaramente e il vino promette anche ottime prospettive di invecchiamento.
La presentazione a Roma, nel ristorante Pulejo, che da pochi giorni ha conquistato la stella della prestigiosa Guida Michelin, è stata anche l’occasione per apprezzare quelli che possiamo considerare gli ‘assi’ bianchi della cantina.
In primo luogo, da uve provenienti dal vigneto di Parolise, il Sequoia Irpinia Fiano d’Avellino Docg Riserva 2020, nel quale si trovano ben quattro diverse masse: una fa una macerazione di 12 giorni, un’altra di tre giorni, una fa subito acciaio, l’ultima fa fermentazione in botte grande di rovere francese. Il risultato è un ottimo equilibrio tra morbidezza, maturità del frutto, rotondità del legno e acidità. Naso complesso e bella struttura in bocca con ottima nota sapida.
Infine, merita una speciale nota di merito quello che, nella nostra personale lista, occupa la posizione di testa: il Greco di Tufo Docg Riserva Oikos 2020. Proviene una vigna di 1,5 ettari di oltre 40 anni sita ad Altavilla Irpina, caratterizzata da grappoli piccoli con forte carica tannica. Fermentazione e affinamento si svolgono in botti da 25 ettolitri di rovere austriaca per 12 mesi e poi in acciaio inox per altri 12 mesi. Si tratta di un vino davvero unico, capace di competere con altri campioni di livello internazionale. Colpisce soprattutto l’equilibrio perfetto la verticalità acido-sapida e la consistenza cremosa del sorso.