La lettera è lì, pronta per essere bollinata da Palazzo Chigi e poi spedita in direzione Bruxelles. Ma prima di procedere all’invio del documento, contenente l’indicazione italiana di Raffaele Fitto come commissario europeo, Giorgia Meloni vuole riunire gli alleati. Solamente dopo si procederà al passaggio formale. Dunque la data da cerchiare in rosso è quella di domani, venerdì 30 agosto. «È tutto fatto, ora c’è solo da ultimare lo step burocratico», assicurano fonti vicine a Palazzo Chigi. Secondo cui la mossa al fotofinish non rappresenta un ostacolo. «È tutto sotto controllo, non c’è nessun rischio». Sono ore frenetiche, come testimonia la visita a Roma di Manfred Weber (presidente del gruppo Partito popolare europeo), che ha incontrato il titolare di Affari europei-Coesione-Pnrr, la presidente del Consiglio e il vice Antonio Tajani. «Prove tecniche di accordo», assicura chi segue il dossier del commissario Ue. Mostrando ottimismo anche per una vicepresidenza esecutiva.

Maggioranza compatta su Fitto

Nessun dubbio sul profilo di Fitto: da sempre il ministro è stato il principale indiziato e, nonostante le sfumature del centrodestra in Europa, la maggioranza è compatta sul suo nome. È considerato il più competitivo, il più duttile e – grazie alla sua storia personale, alle competenze e al posizionamento – non ha mai riscontrato resistenze da parte degli alleati. Invece sulle sorti dell’esecutivo aleggia una nebbia fitta di incertezze. La stabilità del governo non è a rischio, certo, ma tutto è ancora in piedi e Meloni (che sta curando in prima persona la partita) non ha ancora deciso il da farsi.
A Palazzo Chigi si ragiona sul fatto che limitarsi a una redistribuzione delle deleghe potrebbe finire per appesantire Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, motivo per cui si valutano delle alternative. Un «rimpastino», ipotesi ancora in piedi, che vede due strade: trovare un sostituto di Fitto o spacchettare alcune deleghe e affidare i restanti specifici compiti a un nuovo ministro.

Dal rimpastino alla scommessa sui sottosegretari

Nelle ultime ore è spuntata un’altra possibilità: evitare di intervenire sulle caselle dei dicasteri, ma scommettere sui sottosegretari. E su questo punto c’è chi ricorda le dimissioni di Vittorio Sgarbi e di Augusta Montaruli. «Entrambi hanno lasciato il proprio incarico, magari si possono sfruttare quei due slot liberi», viene fatto notare. La sensazione comunque, al di là della decisione che verrà presa, è che inizialmente si possa percorrere la strada di assumere l’interim e solo in un secondo momento definire bene lo schema delle deleghe.
La priorità di Meloni? Evitare di salire di nuovo al Quirinale. Per farlo occorre rispettare un principio inderogabile: non stravolgere lo scacchiere di governo. Al massimo un «rimpastino», perché un intervento troppo allargato potrebbe avere una conseguenza inevitabile: tornare alle Camere per ottenere un nuovo voto di fiducia. «Dal punto di vista tecnico non ci sarebbe alcun problema: la maggioranza è solida e i numeri ci sarebbero», spiegano da Fratelli d’Italia. Ma la presidente del Consiglio vuole arrivare al termine della legislatura con l’attuale impianto, senza dunque «macchiare» la sua avventura con un Meloni bis.

La premier non vuole un Meloni bis

Un traguardo certamente ambizioso ma assai complicato. Anche perché si potrebbe aprire un punto politico non indifferente, in grado di imporsi come prioritario rispetto al nodo post-Fitto, considerando che il potenziale neo-commissario sarebbe operativo in Europa verso novembre: i tempi rischiano di essere piuttosto lunghi tra designazioni dei singoli paesi, squadra da limare, portafogli da distribuire, esami nelle commissioni parlamentari e voto finale.

La variabile Santanché

Invece il tema che riguarda Daniela Santanchè potrebbe diventare centrale: l’udienza preliminare per il «caso Visibilia» è fissata per il 9 ottobre. Tra poco più di un mese. Un suo passo indietro, precisano da FdI, non è da escludere. «Dipende dall’iter giudiziario. Nel caso, ne parleranno direttamente Meloni e Santanchè per prendere una decisione comune», assicurano. Appare evidente che le dimissioni scombinerebbero gli equilibri del governo e, a quel punto, un vero e proprio rimpasto sarebbe dietro l’angolo.
A Bruxelles comunque restano due le partite ancora aperte. La prima riguarda sempre il nostro paese: Meloni punta a strappare una vicepresidenza esecutiva. Dagli ambienti di Fratelli d’Italia ritengono che sia quasi fatta e che dunque all’Italia verrà riconosciuto il ruolo che merita. La seconda invece è in mano a Ursula von der Leyen: la presidente della Commissione Ue punta ad avere più commissarie rispetto alla composizione che si prospetta (16 uomini e solo 6 donne). Ad esempio potrebbe concentrarsi sui piccoli Stati, promettendo di concedere portafogli più pesanti nel caso della proposta di nomi femminili per l’incarico. Gli occhi sono puntati sul primo ministro maltese, Robert Abela, per provare a convincerlo a cambiare il nome suggerito: Glenn Micallef, almeno secondo gli auspici, potrebbe lasciare il posto a una donna. Una pista potrebbe portare alla conferma dell’uscente Helena Dalli, che tra le altre cose si occupava di parità e uguaglianza. Il rebus, in Italia e in Europa, resta irrisolto. Ma è solo questione di ore.