un detenuto su tre si trova in carcere per fatti di droga
La prigione non è la risposta alla tossicodipendenza
Introdurre una causa di non punibilità per chi coltiva in proprio la droga e rafforzare le strutture deputate alla cura dei tossicodipendenti perché «il disagio di queste persone va compreso fino in fondo e non criminalizzato». Ecco le proposte che gli addetti ai lavori formulano all’indomani della presentazione del dossier di Antigone secondo il quale, in Campania, un detenuto su tre si trova in carcere per fatti di droga mentre uno su quattro vive dietro le sbarre pur avendo problemi più o meno gravi di tossicodipendenza. Numeri notevoli che contribuiscono a rendere le prigioni regionali ancora più affollate, se non addirittura infernali.
«È da tempo che sostengo la necessità di depenalizzare non solo alcuni reati di droga, ma tutte le fattispecie per le quali sia prevista la pena della reclusione inferiore a due anni – commenta Samuele Ciambriello, garante regionale dei detenuti – I reclusi tossicodipendenti hanno un problema in più rispetto agli altri e questo dovrebbe suggerire un più ampio ricorso a misure alternative, lavori socialmente utili e tutte quelle strategie capaci di spezzare il legame con la droga».
Già, perché il problema non è soltanto di ordine giuridico e giudiziario, ma soprattutto sociale. Ne è convinto Alfonso Furgiuele, docente di Diritto processuale penale all’università Federico II di Napoli: «Bisogna distinguere tra tossicodipendenti e trafficanti. I primi non vanno rinchiusi in cella, come troppo spesso avviene, ma trattati in modo adeguato e in strutture attrezzate perché nel loro caso è la dipendenza dalla droga che induce a delinquere. Sono i secondi, se riconosciuti colpevoli, a dover essere colpiti con fermezza». Insomma, secondo Furgiuele la detenzione non serve a recuperare chi è finito nel gorgo bestiale della tossicodipendenza.
Eppure non mancano i casi di chi invoca tolleranza zero e sanzioni sempre più aspre in questa delicata materia. Una posizione non condivisa da Vincenzo Maiello, docente di Diritto penale della Federico II, che sulla legislazione antidroga è stato ascoltato persino dalla Commissione Giustizia della Camera in occasione del confronto sulle proposte di legge in materia di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti.
«Mi lascia perplesso – spiega Maiello – l’idea di un ulteriore inasprimento sanzionatorio, fondato sulla errata convinzione che aumentando le pene si ridimensioni il fenomeno criminoso. In questa materia dovrebbe darsi spazio a politiche pubbliche multidisciplinari e rifiutare un paradigma fondato su modelli repressivi che hanno finora fallito, affidando al carcere le sole condotte di approfittamento delle situazioni di tossicodipendenza». Un’altra strada, invece, merita di essere battuta: «Condivido l’introduzione di una causa di non punibilità per i casi di autocoltivazione, a patto di introdurre criteri idonei a orientare la valutazione del giudice sui presupposti dell’esimente».
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