Gli errori di programmazione sul covid
La profezia di Bill Gates sul coronavirus ignorata da tutti
Vi scrivo da un computer, naturalmente. Molti di voi stanno leggendo dal loro computer, nella versione online di Il Riformista. Personal computer vuol dire Bill Gates. Un genio visionario, indubbiamente. La caratteristica dei talenti visionari spesso è di riuscire a prevedere scenari e ad anticipare situazioni che si verificheranno anche al di fuori del loro campo di competenza.
Se Bill Gates avesse vaticinato l’avvento dei tablet o degli smartphone, prima che venissero prodotti e commercializzati, lo avremmo giudicato provvisto di grande lungimiranza, ma non di virtù divinatorie. Lui era stato il primo a pensare a un computer individuale che sostituisse in molti usi i giganteschi computer delle generazioni passate. Da uno come lui, prevedere la comparsa di uno smartphone, sarebbe stato solo uno spericolato esercizio di estrapolazione, non un presagio miracoloso. Ma Gates nel 2015 fa qualcosa di completamente diverso. Si presenta sul palco dei Ted talks, quelle conferenze spettacolarizzate, il cui motto è “Idee degne di essere diffuse”. In un Ted talk, il conferenziere, avvalendosi di mezzi audiovisivi di fronte a una platea, espone le sue idee su un argomento tecnico o scientifico. Il titolo dell’intervento di Gates è “La prossima epidemia? Non siamo pronti”.
Gates esordisce dicendo che ci siamo attrezzati per un eventuale conflitto nucleare, perché lo riteniamo il disastro più probabile che si potrebbe verificare in futuro, però aggiunge: «Oggi il più grande rischio di catastrofe globale non somiglia a questo – e mostra il fungo di un’esplosione nucleare -, ma somiglia a questo e mostra… il Coronavirus!!! (guardate al 40”)». Continua spiegando quanto proclamato da epidemiologi e virologi: cioè che, se non si era ancora verificato un evento del genere, si doveva a una concomitanza di circostanze molto favorevoli. Dopo la terribile epidemia di influenza Spagnola del 1919, abbiamo goduto di una calma illusoria per un secolo intero. Illusoria in quanto nulla ci garantiva che un nuovo virus non sarebbe arrivato a scuotere le nostre deboli certezze.
Eppure un assaggio si era avuto recentemente in Africa, con l’epidemia di Ebola, la febbre emorragica, nel 2014. La mortalità dell’Ebola era superiore al 50% dei casi, per cui c’erano tutti i presupposti per un’ecatombe. I tre fattori che evitarono il disastro furono la difficoltà di contagio, perché il virus dell’Ebola non si trasmette per via aerea ma solo per contatto diretto con fluidi corporei del malato; la comparsa dei focolai epidemici in piccoli centri, paesi e villaggi, e non nelle grandi città; la difficoltà di spostamento della popolazione dell’Africa centro orientale, dove si era diffusa la malattia.
Ma giocare d’azzardo alla roulette della Storia raramente è un buon investimento. Seneca, nel De brevitate vitae riflette sul fatto che le persone agiscono con leggerezza, sprecano le opportunità e poi, quando vedono che la situazione precipita, abbracciano gli altari o le ginocchia dei medici implorando aiuto. Il governo per l’epidemia attuale ha stanziato 25 miliardi di euro, di cui la metà immediatamente disponibili. L’urgenza è allestire nuovi posti di terapia intensiva per i malati gravi che, con i polmoni impregnati d’acqua, non riescono più a respirare da soli e richiedono apparecchi respiratori ausiliari. E allora corri a trovare locali idonei a essere adibiti ad ospedali da campo, disegna gli spazi interni, solleva setti di separazione, arreda con letti, macchinari per diagnosi e terapia, soprattutto dispositivi per la ventilazione e la respirazione assistita.
Ma una richiesta così imponente di respiratori, ancora una volta, non l’aveva prevista nessuno e le aziende produttrici hanno già esaurito le scorte e sono incapaci di soddisfare la domanda crescente, pur lavorando a pieno regime. Si può tentare di rivolgersi al mercato estero, ma gli altri Paesi, vedendo che si avvicina la tempesta, certo non si mettono a esportare gli ombrelli. E questo non è neanche il peggio. Un respiratore, magari usato, magari dismesso e rigenerato, lo puoi pure trovare. Se paghi bene, lo puoi pure trovare.
Ciò che non puoi comprare a prezzo di denaro sono i rianimatori, gli pneumologi, gli anestesisti. Quelli te li dovevi coltivare a partire da dieci anni prima. Invece l’emorragia di laureati, soprattutto i più meritevoli, che hanno trovato tanta accoglienza all’estero, quanta indifferenza in patria, ci ha condotto in un vicolo cieco, da cui non si esce a suon di quattrini. I quattrini andavano impiegati saggiamente prima, non frettolosamente adesso. Dobbiamo perciò essere grati agli specialisti cinesi che sono volati in nostro soccorso, proclamandosi frutti dello stesso albero, fiori dello stesso giardino, per esprimere con una delle tipiche allegorie poetiche tanto care agli orientali la vicinanza e l’affetto alle genti italiche. Purtroppo però gli specialisti sono nove… Manco se fossero i nove Avengers potrebbero risolvere loro il problema!
Bill Gates dice che le epidemie dovrebbero essere affrontate come se si fosse in guerra (e forse lo siamo davvero, anche se il nemico è minuscolo). Ci vorrebbero piani internazionali di azione basati su protocolli comuni ben definiti, strumentazione e mezzi accantonati allo scopo, un sistema logistico e di comunicazione dedicati e, soprattutto, una task force di pronto intervento. Invece, l’agenzia delle Nazioni Unite che presiede alla salute pubblica, l’Organizzazione Mondiale di Sanità, è incaricata soltanto di studiarle le epidemie e seguirne il corso, ma non di intervenire per reprimerle. Sarebbe come se, in caso di attacco nemico, lo Stato Maggiore dell’Esercito si limitasse ad annotare come procede l’invasione e a informarne la cittadinanza…
D’accordo, è una questione di soldi e quelli scarseggiano sempre, ma quanto costerà adesso all’Italia e al mondo intero questa pandemia? Costi economici e finanziari, ma anche costi umani. In Olanda c’è un piccolo eroe nazionale, la cui impresa ha più i contorni della leggenda, che della realtà. Si dice infatti che Hans di Haarlem, camminando accanto alla diga della sua città, vedesse una piccola falla, un forellino da cui fuoriusciva uno zampillo. Immaginando quello che sarebbe potuto accadere, mise il ditino per tappare il buco e iniziò a strillare perché qualcuno arrivasse in soccorso e provvedesse. Il suo atto salvò la città.
Infatti, finché il foro è di dimensioni ridotte, il getto può essere arrestato ma, se si allarga oltre un certo limite, non c’è più alcun mezzo per contrastare la pressione dell’acqua e la diga crolla. Allo stesso modo un’epidemia. Sul nascere, bastano forze limitate per soffocarla ed estinguerla. Ma, se comincia a dilagare, poveri noi. Quindi, ora dobbiamo fare come il marinaio che si accorge che sta imbarcando acqua. Prende il secchio e inizia a ributtarla fuori, senza un attimo di sosta finché non passa la tempesta.
Noi stiamo imbarcando germi e non acqua, quindi il nostro strumento non è il secchio, ma l’isolamento. E come il marinaio, superata la tempesta e arrivato in porto, fa montare una pompa idrovora per non doversi più trovare in condizioni critiche, anche noi aspettiamo pazientemente che passi la nostra tempesta restando a casa, ma poi… attrezziamoci, per fare quello che ci dice Bill Gates!
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