È stato il processo meno garantista, forse, di tutta la storia dei processi del dopoguerra. Anche se solennemente svolto davanti al Csm. C’era un colpevole designato, c’era il rifiuto di far sfilare i suoi testimoni, c’era una giuria composta da molti personaggi coinvolti nel “delitto”, e le prove a carico erano interamente costituite da intercettazioni in gran parte illegali. Un pasticcio staliniano.
Per il resto niente di nuovo. Il rappresentante del Procuratore generale della Cassazione ha chiesto come previsto la massima pena per Luca Palamara, ex Dio delle toghe italiane, oggi Satana, e cioè la radiazione dall’Ordine giudiziario. Indegno, infame! La Procura generale della Cassazione lo ha accusato di aver tramato per influire sulla nomina del procuratore di Roma e anche del Procuratore di Perugia e di averlo fatto in combutta con uomini politici (Lotti e Ferri) e poi anche di aver tentato di infangare alcuni suoi colleghi. Cioè di aver fatto esattamente tutte quelle cose che nella magistratura italiana si fanno abitualmente da molti anni.
Oggi ci sarà la sentenza. Di condanna, come è ovvio che avvenga in un processo dove sono stati eliminati i diritti della difesa e proibito ogni approfondimento, per evitare il rischio che saltino fuori un po’ troppe magagne della magistratura. il Palamara-gate dimostra senza possibilità alcuna di errore che tutta la struttura della magistratura e le sue gerarchie sono costruite in modo clientelare e illegale e sono sotto il controllo dall’Anm, cioè dal partito dei Pm. Di conseguenza dimostra la situazione di sostanziale illegalità nella quale vivono i palazzi di giustizia e della quale sono vittima migliaia e migliaia di imputati. La decisione della casta è quella di chiudere tutto, con la cacciata di Palamara dalla magistratura e con la proclamazione del principio che la casta, per definizione, non si tocca. E la legalità? Sì, vabbé, la legalità…