Il redde rationem
La resa dei conti per Meloni arriva in autunno: tra il nervosismo per il commissario Ue, la sfida interna di Forza Italia e le elezioni in Liguria
C’è una locuzione latina che descrive benissimo la stagione che ci aspetta all’indomani dello stacco ferragostano. Redde rationem, letteralmente resa dei conti. Che poi detta in altro modo, significa che tutti i nodi irrisolti della maggioranza ed in parte delle minoranze inevitabilmente stanno per arrivare al pettine. Come se rispondessero ad un ciclo inevitabile della politica italiana 2.0. Tutto questo succede proprio in autunno, praticamente alla vigilia della prima legge di bilancio dell’era Meloni che giungerà in aula con il ‘fiatone’: stavolta sarà comunque più difficile addossare la responsabilità dei tanti problemi irrisolti all’opposizione.
Il nervosismo per la nomina del commissario europeo
La Presidente del Consiglio poi troverà il suo personale redde rationem dopo il ritorno dal riposo abituale in masseria a Ceglie Messapica. Ovvero il responso tanto temuto dall’Europa (c’è tempo fino al 31 agosto per indicare i nomi dei candidati, e Raffaele Fitto resta il primo della lista) sulla nuova Commissione. Il nervosismo di queste ore (l’irrituale lettera alla Presidente della Ue) conferma le previsioni che fanno gli analisti: l’Italia non otterrà il commissario di fascia A (Affari Economici, la stessa delega che ha avuto Paolo Gentiloni o Concorrenza), ma piuttosto un organismo da metà classifica (Coesione, Bilancio o Mediterraneo).
Meloni e la sfida di Forza Italia
Una sorta di ‘Purgatorio’ che la leader di Fratelli d’Italia si è costruita con le sue mani, votando no alla conferma di Ursula von der Leyen, nonostante le tante attenzioni. Un braccio di ferro quindi, che rischia di finire con un esito scontato: la Presidente del Consiglio a Bruxelles continuerà a non toccare palla. Come non toccò palla Matteo Salvini, che uscì dalle elezioni europee del 2019 raccogliendo un trionfale 34%, che non gli servì a nulla. L’altro problema che la Premier dovrà fronteggiare prima della legge di bilancio si chiama Berlusconi. O meglio Pier Silvio e Marina, i figli del fondatore di Forza Italia. I quali daranno il tormento ad Antonio Tajani per trasformare il partito in un competitor vero di Fratelli d’Italia. Una sfida che Giorgia fino ad ora ha sottovalutato, cosa che non potrà più permettersi di fare.
Il campo largo e le elezioni in Liguria
Dall’altra parte dello schieramento, il campo largo ha manomesso la macchina del tempo e vive una sorta di ritorno al passato. Esattamente ai mesi subito successivi al 1992. Ovvero post Tangentopoli. Stesso furore, stessi rimedi. Un caso propiziato dagli arresti domiciliari di Giovanni Toti (che oggi o domani potrebbe tornare libero) in Liguria. Un’occasione ghiotta per regolare post mortem i conti con il ventennio del Cavaliere (l’ex presidente della Regione è stato pur sempre uno dei suoi favoriti oltre che direttore del Tg4, ereditato proprio da Emilio Fede) e con la destra arrembante di questa stagione. Con una propaganda d’antan. “Nessun rapporto con il nemico”, tuona il candidato in pectore per la successione di Toti, Andrea Orlando. Una macchina da guerra ‘vintage’ che vuole fare le analisi del sangue a Matteo Renzi, che a Genova ha un assessore in giunta con Marco Bucci, e chiedere le dimissioni (che invece si dimette dalla direzione dem) a David Ermini, l’esponente del Pd diventato presidente della holding di Aldo Spinelli.
Alla Liguria toccherà in pratica (il 27 ed il 28 ottobre, se non ci sarà l’election day in novembre) ospitare una sorta di anteprima. E non sarà una partita facile, neanche per il campo largo, che pure parte in vantaggio grazie alla magistratura. In una Regione intimamente conservatrice e dedita al mugugno, il consenso di Giovanni Toti è stato reale: ha prodotto una scossa comunque benefica per un territorio un po’ addormentato. Può essere Andrea Orlando l’uomo giusto per interpretare la nuova stagione? Avranno voglia i liguri di dare il via ad una nuova vecchia contrapposizione in bianco e nero? E dopo di loro, gli italiani? In pratica come cantava il genovese Bruno Lauzi: ‘Ma quande l’è che ti t’accatti o frigideiro’.
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