È un venticinque aprile speciale. Molto sentito. Anche da settori della società, dell’intellettualità, della politica e del giornalismo che in passato erano stati abbastanza freddi di fronte a questa ricorrenza. Cosa è successo? La guerra in Ucraina ha cambiato tutto. I grandi giornali, da molte settimane, identificano la guerra di difesa combattuta dall’esercito ucraino contro gli invasori russi come qualcosa di molto simile alla Resistenza italiana. E di conseguenza mostrano i valori e le glorie della lotta partigiana come prova della giustezza di sostenere con le armi, anche con le armi di attacco, il diritto all’indipendenza dell’Ucraina. E di conseguenza polemizzano coi pacifisti che domani si raduneranno a Perugia, nel nome di Capitini, per marciare fino ad Assisi e chiedere il cessate il fuoco.

Penso che ci siano da fare due ragionamenti. Uno riguarda la Resistenza, l’altro riguarda il pacifismo e il diritto alla difesa. La Resistenza italiana (ma anche, in misura minore, perché meno ampia, quella francese) fu un fenomeno politico importantissimo. Che condizionò pesantemente – e io credo positivamente – gli equilibri politici del dopoguerra. Producendo, tra gli altri effetti, una Costituzione di tipo socialista. Sul piano militare ebbe un peso, ma meno rilevante. L’Italia alla fine fu liberata dagli eserciti inglese e americano, le battaglie decisive furono combattute in Sicilia, poi a Cassino, poi sulla linea Gotica, infine sull’appennino emiliano. Sul piano militare la Resistenza organizzò una guerra di guerriglia soprattutto nelle montagne del nord e poi nella grandi città , specialmente a Roma, che diedero qualche vantaggio agli alleati. Sia sul piano politico che su quello militare (e da questo punto di vista il piano militare fu fondamentale) la Resistenza fu dominata dal partito comunista.

Palmiro Togliatti, che partecipava al governo unitario che si era insediato al Sud presieduto prima da Badoglio poi da Bonomi, la ispirava. I suoi uomini più importanti (Longo, Secchia, Pajetta, Amendola, Boldrini, Curiel) la guidavano sul campo. Anche i socialisti ebbero un ruolo importante (Pertini, Lombardi), ma non prevalente come quello dei comunisti. Poi c’erano alcune brigate “bianche” cristiane, ma non particolarmente forti. E infine c’erano gli azionisti e i liberali, ma soprattutto gli azionisti risentirono fortemente dell’egemonia comunista. I liberali erano molto pochi, a memoria mi viene in mente solo Edgardo Sogno, che poi fu perseguitato negli anni 70. Dico questo perché oggi trovo abbastanza curioso questo entusiasmo per la resistenza e il suo valore fondante della democrazia, espresso da ampi settori di una Italia legittimissimamente ma fortemente anticomunista.

Ora però mi chiedo. La resistenza è attuale? Penso di no. Da quando si è conclusa sono successe cose sconvolgenti. Abbiamo saputo della Shoah. Dello sterminio. Abbiamo assistito a Dresda rasa al suolo senza motivo dall’aviazione inglese (uno dei più giganteschi crimini di guerra della storia). Abbiamo visto Hiroshima. Abbiamo saputo della macelleria staliniana. Abbiamo guardato indignati la barbarie della guerra del Vietnam. Secondo voi è sufficiente tutto questo per far sospettare alle menti più illuminate (e fu così per personaggi come Einstein, Bertrand Russel, Capitini, Dolci, Curie, Picasso e parecchi altri di questo stesso livello) che la guerra non abbia più nessun senso. Che possa solo distruggere politicamente, economicamente, culturalmente e umanamente chi la combatte? Vinti e vincitori. Io penso di si. E non capisco perché la sinistra si dilani nel dubbio tra Resistenza e pacifismo. Io penso che solo il pacifismo possa servire a difendere l’idea e la grandiosità della lotta partigiana.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.