Gli equilibri dem
La ricetta del campo largo alla milanese con un contorno propal e “più imposte per i ricchi”
Nella metropoli lombarda i dem fanno i conti con la politica nazionale poco riformista. Tra tensioni interne e pressioni esterne, il Pd cerca di mantenere un equilibrio tra tradizione e nuove istanze politiche, con lo sguardo già rivolto verso le future elezioni
“Non ho mai pensato che le elezioni si vincano al ‘centro’ come a ‘sinistra’. È un modo di ragionare che non capisco. Sarei meno geometrico. Ci vogliono persone pragmatiche e principi forti. Le giunte di Pisapia e Sala secondo me sono state sempre un buon punto d’equilibrio e credo si debba andare avanti così”.
Pierfrancesco Majorino, vent’anni di militanza e ruoli istituzionali, da segretario dei Ds nel 2004, ad oggi come capogruppo del Pd in Consiglio Regionale, passando per consigli comunali e assessorati a Milano, non ne fa una questione di campo largo o stretto e riconosce anche nella composizione attuale dell’amministrazione cittadina una formula da mantenere.
Il campo largo milanese
“Non faccia dire a me cosa devono fare le forze che guardano di più al centro. Da compagno di strada mi limito a dire una cosa: se quelle forze sono quelle che fanno scelte folli come candidare in Lombardia Letizia Moratti non hanno allora nessun futuro nello schieramento progressista. Se invece sono quelle, come già accade, che fanno parte e bene della giunta milanese, o che – penso alla bravissima Lisa Noja – fanno proprio in Regione un’opposizione intelligente a Fontana allora rappresentano un valore importante”.
L’allusione sembra essere nel primo caso ad Azione – che pur siede anche in Consiglio Comunale ad ha accolto il dem dissidente Daniele Nahum – nel secondo a Italia Viva.
A spostare il centro del dibattito è anche la deputata Milanese Silvia Roggiani, passata dalla segreteria metropolitana del Partito con due delicate deleghe successive, alla comunicazione e all’organizzazione.
“Non credo che oggi, rispetto ai problemi dei milanesi (che per altro sono quelli che vivono molte altre metropoli mondiali) il tema sia lo spostamento dell’asse al centro o a sinistra. Credo che un partito oggi è credibile, come lo è stato in passato, se continua a proporre soluzioni nuove, capaci di essere innovative e rispondenti. Il riformismo attiene a questo, non all’essere più al centro o più a sinistra”.
Già, il riformismo, inteso come la propensione tutta Milanese alla concretezza della proposta politica e all’equilibrio tra le componenti della società metropolitana. Eppure, in casa dem, qualcuno ha un’idea diversa e la afferma senza tanti complimenti. Lorenzo Pacini, enfant prodige dei dem milanesi, 26enne assessore del Municipio 1, salito all’onore delle cronache per la sua adesione alle manifestazioni Pro Palestina e dichiaratamente critico verso la condotta di Israele, non ha dubbi su dove e con chi il Pd debba collocarsi: “Il campo largo, o meglio il fronte progressista, è lo spazio naturale di coalizione del Pd. Se si allarga ad Azione tanto meglio. Il Pd alle europee a Milano città ha preso il 31,38%, con AVS sopra al 10%, M5S 5%, e le due formazioni centriste rispettivamente al 6%. I numeri parlano chiaro. La maggioranza del fronte progressista a Milano c’è, e potrebbe fare a meno di Renzi e Calenda, ma se si include Calenda è certamente meglio. Renzi no. Non per antipatia ma perché non ha posizioni conciliabili con il progressismo”.
Calenda sì, Renzi No.
E il riformismo è al massimo una figura retorica: “Milano è, o meglio è diventata, una città progressista. Non riformista. Cosa vuol dire riformista? Che si fanno le riforme? Milano è una città giovane e dinamica, che anticipa ciò che arriva politicamente dopo dalle altre parti in Italia. Non abbiamo paura della destra che allarga al centro, dobbiamo invece temere che i nostri non vadano a votare. Oggi le elezioni si vincono mobilitando il proprio potenziale elettorato, non convincendo quelli di destra a votare per te.”
Una spinta a sinistra, netta e dichiarata, perfino meno prudente della linea intrapresa dalla segreteria nazionale e che la vuole applicata alla realtà milanese, senza se e senza ma. Piuttosto lontana dal pensiero di un altro esponente dem di lungo corso come Pietro Bussolati, che invece rivendica per la metropoli una sua autonomia di formula politica: “I milanesi hanno sempre apprezzato pragmaticità e visione, non formule politiche che vengono da Roma. A Milano i temi e le scelte coraggiose creano le coalizioni, è successo sia con Pisapia e con Sala, senza preclusioni per nessuno. Siamo stati l’unico partito a credere in Expo quando tutti gli altri si aspettavano un fallimento, abbiamo reagito con il Sindaco Pisapia alla devastazione dei black block del primo maggio 2015 con una grande manifestazione civica di riscatto della società, abbiamo dato avvio alla trasformazione degli scali e sostenuto il processo di integrazione metropolitana. Su questi passaggi cruciali abbiamo costruito coalizioni vincenti, senza accontentarci di sommare sigle ma irrompendo in tutti i settori della società e aprendoci a esperienze e nuove capacità presenti nella società.”
Parla di area liberaldemocratica come alleata scontata e di altri come eventualità legata agli obiettivi, il Segretario metropolitano Alessandro Capelli, che sulle dissonanze piuttosto clamorose, getta acqua sul fuoco, riconducendole ad una questione trasversale. “Io penso che la coalizione che ci sarà dovrà partire dal centrosinistra che c’è – quindi coinvolgendo senza ambiguità tutta l’area liberal democratica già in maggioranza nel percorso – e aprire una discussione sul futuro con chi ha voglia di confrontarsi su metodi e progetti e costruire con serietà… Vorrei chiarire che le dissonanze politiche in un mondo così complicato non riguardano le generazioni del partito democratica, ma trasversalmente tutto il mondo occidentale, dentro la sinistra e dentro la destra”.
Certo restano alcuni precedenti non proprio facili da liquidare a normale dialettica, come il convegno del febbraio scorso, intitolato “Colonialismo e apartheid in Palestina, una lunga storia di occupazione illegale e di resistenza”, organizzato proprio dai Giovani Dem del Municipio 1 di Milano.
Diventa poi un problema se dalla geopolitica si atterra sul terreno dall’amministrazione cittadina e il disallineamento riguarda temi oggettivamente critici, che perfino l’opposizione cavalca. “Il dopo Sala dovrà essere in continuità? Su alcune cose sì, su tante altre no. Per esempio sul tema trasporto pubblico e mobilità dobbiamo cambiare tanto – afferma ancora Pacini – i servizi, da quelli sociali al trasporto pubblico, costano. Milano è la città con più alto reddito e patrimonio d’Italia. Dobbiamo aumentare le entrate fiscali chiedendo una mano maggiore a chi può. Dobbiamo rivedere le tariffe e il sistema di scaglioni per esempio per l’abbonamento pubblico. Possibile che un pensionato che riceve magari 2.500 euro netti di pensione al mese paghi meno l’abbonamento ATM di un lavoratore precario che ne guadagna 1.300? Beppe Sala oggi ha il grande e difficile compito di governare la città per i prossimi due anni ammezzo, quello che vorrà fare dopo sarà sua legittima scelta”.
Traspare una buona dose di critica verso l’amministrazione e una certa freddezza verso il destino politico del primo cittadino nella parole dell’emergente Pacini, ancora una volta distanti da quelle ad esempio di Bussolati, “Spero molto che Beppe Sala possa continuare a offrire il suo contributo alla politica anche oltre l’attività di Sindaco di Milano”. Ne è convinta anche Silvia Roggiani: “Se Sala vorrà spendersi come federatore sono certa che saprà essere un valore aggiunto per tutto il centrosinistra.”
Capelli, che da segretario cittadino ha il compito complesso di gestire anche quei giovani esponenti che stanno portando il racconto dem su posizioni estreme, preferisce concentrarsi sul mezzo cammino di amministrazione che ancora c’è da fare e che rischia di essere bersaglio di fuoco amico, proprio dall’interno del partito: “Nei prossimi tre anni, insieme al Sindaco e alla maggioranza, dovremo essere capaci di rispondere alla grandi domande sociali che emergono: abitare, mobilità, sicurezze e cura degli spazi urbani. Sapendo che dovremo farlo nonostante governo e regione continuino a tagliare e battersi contro i milanesi. Ora, nel solco di una tradizione veramente milanese storica, il compito del Pd è costruire la grande coalizione civica e sociale di forze, organizzazioni e associazioni che costituisce il dna di Milano e che rappresentano il centrosinistra sociale per trovare insieme le risposte alle grandi questioni”.
Poi, però, ci sono le piazze – comprese quelle digitali – palcoscenico di polarizzazioni e populismi e sulle quali le normalizzazioni di partito sembra avere sempre meno presa, nelle quali si formano le tensioni che condizioneranno la politica milanese prossima. “Oggi la partecipazione è spesso slegata dai partiti, lo vediamo nelle grandi manifestazioni che ci sono state anche nella nostra città, dal pride alle piazze per il clima – ammette Silvia Roggiani – In quelle piazze, non chiamate dalla politica, ci sono peró moltissime istanze profondamente politiche. È questo che il Pd, a Milano, sta cercando sempre di più di intercettare”. Resta da vedere a quale costo e quale Pd le intercetterà per primo.
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