Se Gandhi incontra Alberto da Giussano
La riforma della giustizia di Salvini? Chiesta dai giustizialisti leghisti non convince
Nella mia convinta e attiva partecipazione al Partito Radicale Transnazionale Trasparito e a quella che un tempo si chiamava “Galassia Radicale” in tutte le sue forme e, a maggior ragione, dopo l’onore di essere stato chiamato a partecipare al Consiglio Generale del Partito, ho sempre messo in conto e praticato, facendone un elemento caratteristico della mia storia personale e politica anche precedentemente e indipendentemente a quella radicale, il dialogo, il confronto e l’incontro con tutti.
E sono assolutamente convinto sostenitore e difensore di quella pratica radicale profondamente e intimamente liberale e democratica che ritiene che si possa fare un pezzo di strada insieme con chiunque quando il cammino si incrocia e l’obbiettivo e la meta sono comuni e che non esistono in politica nemici, nemmeno avversari e men che men diavoli con cui non si può spartire nulla, ma invece vivano idee diverse con cui confrontarsi e rafforzarsi. Ero ragazzo quando difendevo la scelta, contestata da molti, di Marco Pannella di percorrere un importante tratto di strada insieme con l’allora innominabile Silvio Berlusconi, oppure quando decise l’operazione del gruppo tecnico al Parlamento Europeo pur di garantire spazi di partecipazione e di discussione persino con Le Pen padre. Tuttavia non mi convince la possibilità di raggiungere un obiettivo fondamentale come quello della Riforma della Giustizia insieme alla Lega e, in particolare, alla Lega di Matteo Salvini. In un rapporto esclusivo, non occasionale e dichiaratamente strategico per la “costruzione di una nuova classe dirigente”.
Non è la Lega che mi preoccupa e tanto meno i singoli esponenti con cui capita quotidianamente di condividere pezzi di strada. Ad esempio, nelle battaglie per i diritti umani in Cina e Tibet (ma non in Russia, sic.). Non mi stupirebbe un cammino comune strategico, ad esempio su aspetti che riguardano le politiche economiche, la fiscalità, la piccola media impresa, l’approccio allo Stato. Ma su giustizia e carceri occorre ricordare che la Lega nasce e fiorisce nei consensi proprio sull’onda emotiva e anti politica degli anni ’90, detiene tutt’ora il non invidiabile primato di aver portato il cappio nelle aule parlamentari, ha coltivato il giustizialismo, la detenzione definitiva, il braccio violento della legge come caratteristica fondante e non occasionale della sua identità. La Lega di Salvini, poi, rinasce accentuando queste sue caratteristiche per l’oggi e per il domani e inquadrandole in un progetto sovranazionale di Nuova Destra Europea che incrocia i campioni delle nuove democrature ungheresi e polacche. Quella Polonia che fa della frattura dell’equilibrio tra i poteri dello stato e dell’attacco frontale ai giudici e alla loro indipendenza il fronte più avanzato di un modello che risuona nelle motivazioni di Salvini anche nel momento del lancio quella campagna referendaria.
Non si tratta, purtroppo, di ricostruire un equilibrio spezzato, di dare valore all’intuizione costituzionale di una giustizia ripartiva, lontana da ogni forma di vendetta.
Come possono coesistere la concezione giudiziaria di chi è per sbattere in carcere e gettare via le chiavi, di chi giustifica i pestaggi in carcere, di chi si scandalizza ogni volta che viene applicato un istituto di garanzia, di pena alternativa, di clemenza, di chi considera abominio la parola amnistia, di chi mimava il gesto delle manette nei giorni successivi l’arresto di Simone Uggetti, con il modello e le battaglie che solo in casa Radicale si sono potute praticare in tutti questi anni. Non mi scandalizzo. Non mi preoccupo, ma ne occupo. Credo che le finalità siano profondamente diverse. Sono pronto a ricredermi.
Non siamo una caserma e non lo siamo mai stati, le idee possono convivere, nel confronto e nel dibattito, anche quando si raggiunge il massimo della distanza, avendo ben chiari invece i tanti momenti di massima vicinanza. Sarò felice se Gandhi riuscirà a far riporre lo spadone ad Alberto da Giussano, ma penso che su questo cammino i sentieri siano profondamente diversi e nemmeno si trovino nello stesso bosco, ma su pianeti caratterizzati da differenti ecosistemi.
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