Il Piano del ministro
La riforma di Brunetta punta su una nuova generazione digitale
Tra le slides dell’audizione parlamentare del ministro Brunetta e il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale del 10 marzo 2021, sottoscritto con le tre maggiori confederazioni sindacali, il governo Draghi segna il cammino di una pubblica amministrazione rinnovata. Ci sono alcune discontinuità rispetto al passato. È un cammino che può creare le condizioni per una Next-Generation di persone che lavorano nella Pa e per la Pa.
La riforma del lavoro nella pubblica amministrazione viene orientata verso due macro-obiettivi, muovendo da un Progetto di riorganizzazione digitale (presentato dal ministro nell’audizione parlamentare del 9 marzo) e dal Patto con il sindacato del 10 marzo. Progetto e Patto sono fatti correlati, politicamente e strategicamente, non solo perché sono stati contestualizzati da un punto di vista storico-temporale a poche ore l’un dall’altro, ma perché essi sembrano originare da una medesima metodologia, la quale si può sintetizzare con una formula efficace: si progetta una buona riforma della Pa solo se si coinvolge chi rappresenta i lavoratori. E ciò è giusto perché la storia ci insegna che si avviano veri processi di ammodernamento in ogni settore con una leadership che è inclusiva, mai divisiva, matura, che reagisce con mitezza e fa prevalere la realtà sulle idee, il tutto sulla parte, il tempo sullo spazio. Di qui muovono i due macro-obiettivi del progetto presentato in Parlamento.
Primo obiettivo. Facilitare l’acquisizione da parte delle pubbliche amministrazioni delle competenze (in particolare, quelle tecnico-scientifiche) che sono volte specificatamente a attuare il Pnrr. La facilitazione muove da una sorta di mappatura degli uffici e delle competenze professionali delle amministrazioni pubbliche da potenziare in ragione dell’attuazione del Pnrr. Ciò permetterà di avviare un piano mirato/straordinario di assunzioni, anche a tempo determinato, un piano speciale di mobilità del personale tra amministrazioni e un piano di riorganizzazione digitale che coinvolga le pubbliche amministrazioni.
Secondo obiettivo. Accelerare il processo di semplificazione dei processi amministrativi e della connessa digitalizzazione, accompagnata da una formazione del personale delle pubbliche amministrazioni. In questa ottica, si mira a accelerare l’insieme dei macro-processi decisionali, tra cui la semplificazione dei contratti pubblici, la velocizzazione delle procedure negli appalti prioritari ai fini del Pnrr, la digitalizzazione completa dei fascicoli elettronici che riguardano imprese e cittadini, il coordinamento digitale dei dati delle amministrazioni e piena interoperabilità delle banche dati.
La riforma del lavoro nella pubblica amministrazione viene disegnata dal Patto del 10 marzo 2021. I tre elementi di rinnovamento su cui essa si basa sono la gestione del personale, l’organizzazione e la tecnologia avanzata. Sono tre elementi correlati l’uno all’altro: non si può pensare di modernizzare la gestione del personale della Pa senza comprendere quale orientamento pratico sarà assegnato alla digitalizzazione e, viceversa, non si può riorganizzare digitalmente senza avere mezzi adeguati per formare i lavoratori, regolare i relativi rapporti di lavoro, promuovere maggiore flessibilità, spingere sulla produttività. Si indicano, a tal fine, una serie di misure di modernizzazione.
In particolare, nel Patto del 10 marzo si fa riferimento alla riforma dell’ordinamento professionale in vista di una più flessibile mobilità dei lavoratori della pubblica amministrazione. Si conferma, inoltre, il metodo concertativo-contrattuale. Il che oggi non fa male certamente alle nostre relazioni industriali perché si allontana l’ombra di un legislatore spesso ipertrofico e disordinato. In questo quadro si stabilisce un primo riferimento all’esercizio del diritto/dovere soggettivo alla formazione, anche collegato alla riorganizzazione digitale, nonché a forme di previdenza/welfare privato che si compongono, alla stregua di ciò che già accade da alcuni anni nel settore privato, mediante una premialità retributiva.
I problemi di questa riforma non riguardano il “se”, ma il “come”. La riforma si deve attuare, non ci sono molte alternative in vista dell’attuazione di un Pnrr credibile. Ha detto bene il ministro Brunetta, il quale ha insistito su un punto critico riferito all’uguaglianza sostanziale («il lavoro pubblico è per la gente, per le imprese, le famiglie, per i ceti medi e per i più poveri. [..] È la gente normale che ha bisogno di buona scuola, sanità e sicurezza»). È corretto pensare che non c’è uguaglianza sostanziale tra cittadini senza una più efficiente pubblica amministrazione. Si può essere scettici, ritenendo che si sarebbe dovuto in qualche modo coinvolgere anche chi rappresenta l’utenza, ma non può che essere condivisa la concezione della Pa intesa come strumento che può eliminare ciò che, nei fatti, ostacola l’eguaglianza tra cittadini.
Il “come” della riforma prospettata è la porzione più interessante di questo disegno governativo. Osserveremo man mano. Ma un esempio serve a chiarire meglio ciò che intendo mettere in risalto. Se si ha intenzione di avviare la ridefinizione dei processi organizzativi interni degli uffici pubblici, secondo modelli meno tayloristi, si deve introdurre una regolazione sull’obbligatorietà dell’identità digitale di cittadini e imprese, con la contestuale ridefinizione dei problemi relativi alla titolarità e alla gestione dei dati che confluiscono in piattaforme (pubblico/private) e in eventuali registri distribuiti. Il che comporta, quasi automaticamente, una spinta a promuovere forme efficienti di alfabetizzazione digitale dei cittadini, insistere per una formazione efficace del management e del personale, risolvere i problemi della definizione delle competenze statali e regionali, investire in cloud e infrastrutture digitali europee, monitorare i possibili riflessi sulla legislazione italiana del Digital Services Act e del Digital Markets Act. Il “come” delle riforme attiene all’incominciare bene più che al fare.
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