Campo largo? Macché!
La rinuncia di Manfredi manda nel caos Pd e M5S e smaschera l’accozzaglia del centrosinistra
Caro Riformista, la “rinuncia” dell’ex ministro Gaetano Manfredi (che conosco e apprezzo) alla candidatura a sindaco è stata un terremoto, ma non mi ha sorpreso. Gaetano è uomo di scienza, preparato e rigoroso, e ho sempre pensato che avvertisse fastidio verso chi lo tirava per la giacca nel tentativo di trascinarlo in un improbabile terreno di contesa con più di venti liste in campo (12 delle quali, convocate dal salernitano vicepresidente della Regione Fulvio Bonavitacola, pretendevano di dettare l’agenda politico-programmatica e leadership ai principali partiti della coalizione).
Si aggiungano a ciò la frattura determinatasi nel Movimento Cinque Stelle, sancita dal capogruppo al Comune Matteo Brambilla e dalla consigliera regionale Marì Muscarà, e lo stato di relativa salute in cui versa il Partito democratico, con diversi dirigenti storici della sinistra già in campo al fianco di Antonio Bassolino, e si ha il quadro completo delle preoccupazioni che hanno avuto un peso nella scelta dell’ex rettore della Federico II. È evidente, infatti, come le uniche ragioni del diniego non possano essere rintracciabili nello «stato drammatico delle casse comunali» e nella difficoltà di approvare in poche settimane una legge Salva-Napoli: elementi che a una personalità esperta e attenta come Manfredi di certo non sfuggivano da tempo.
La realtà vera è che non c’è, a Napoli, il “campo largo” agognato dal Pd e da parte dei grillini; oggi siamo al tentativo poco accorto di metter su un cartello elettorale che tenga insieme forze distanti se non incompatibili come un Pd malmesso, un M5S lacerato e sedicenti liste centriste in cui trovano posto figure con cultura e passato di centrodestra. Quale programma per il futuro di Napoli, quali idee e progetti per un utilizzo mirato e intelligente delle risorse che arriveranno col Recovery Fund era lecito attendersi da siffatta compagine? Non è un caso che manchi, se si eccettua lo sforzo quotidiano e generoso di Bassolino, un ascolto autentico della sofferenza di una comunità sfibrata dalla pandemia e dalle sue devastanti ricadute sul tessuto economico. Mancano un confronto e una dialettica sana e foriera di iniziative e idee utili per il futuro tra forze politiche, categorie professionali, mondo accademico, associazionismo, sindacati.
Intanto resistono candidature come quella dell’ex commissario di Abc Sergio D’Angelo e quella dell’assessore Alessandra Clemente che frantumano e indeboliscono ulteriormente l’area progressista. Si aggiunga a ciò l’ambiguità che permane nei rapporti con de Magistris, destinatario di accorati appelli da parte del Pd nazionale «all’unità contro le destre» in Calabria, che non potrebbe che avere ricadute anche a Napoli. Appelli che stupiscono e disorientano visto che i dirigenti dem partenopei hanno più volte definito l’ex pm «uno dei peggiori sindaci della storia repubblicana».
Così come sorprende il malcelato distacco con cui si guarda a una candidatura autorevole come quella di Bassolino che sembra guadagnare sempre più terreno in città. Si aggiunga pure l’oramai scontato cimento del pm Catello Maresca a guida di un’alleanza civica e di centrodestra, che appare in condizioni di giocarsi la partita fino in fondo, e capiremo ancora di più le ragioni della scelta di Manfredi e il drammatico impasse del centrosinistra. Occorrerebbero un sussulto di senso di responsabilità e una diversa capacità di essere dirigenti politici a Napoli e a Roma. Sarebbe indispensabile riavvolgere il nastro e ripartire. È ancora possibile? Vedremo. “All’ottimismo della volontà”, mai come oggi, non può che contrapporsi un amaro “pessimismo della ragione”.
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