La risposta di Putin prende forma, niente sconti a Kiev: sarà vendetta, “Kursk libera entro ottobre”

MOSCA, PARATA PER IL GIORNO DELLA VITTORIA GIORNATA RUSSIA SOLDATI RUSSI ESERCITO RUSSO

Volodymyr Zelensky lo ha ammesso: la situazione sul fronte orientale “è difficile”. Le truppe russe proseguono la loro avanzata verso i due principali obiettivi nel Donbass: Pokrovsk e Toretsk. E dalla prima, snodo logistico fondamentale per le forze di Kiev, sono iniziate le procedure per evacuare i civili. Decine di migliaia di residenti hanno ricevuto l’ordine di abbandonare il prima possibile le loro case. La Difesa di Mosca ha annunciato la conquista di un altro villaggio, Novgorodskoye. E le truppe di Kiev provano a resistere a un’offensiva che ha subìto una forte accelerazione soprattutto negli ultimi giorni. Proprio in concomitanza con l’invasione della regione di Kursk ordinata da Zelensky.

Putin: Kursk libera entro primo ottobre

Ieri il comandante delle forze di Kiev, Oleksandr Syrsky, ha dichiarato che le sue truppe controllano 1.260 chilometri quadrati dell’oblast russo e 93 insediamenti, e che l’obiettivo della missione è quello di “creare una zona di sicurezza e fermare i bombardamenti dal territorio della Federazione Russa contro obiettivi civili nella regione di Sumy”. Ma la reazione di Vladimir Putin, dopo giorni di shock, inizia a prendere forma. Secondo Rbc-Ukraine, il presidente russo avrebbe ordinato ai suoi militari di liberare la regione di Kursk entro il primo ottobre.

Un piano che però non dovrebbe, a detta del Cremlino, distogliere alcuna forza dal Donbass. Il ministro della Difesa Andrei Belousov, che si trova a dover gestire la prima invasione di territorio russo dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, ha annunciato al Consiglio di coordinamento per la sicurezza dei confini che saranno creati tre nuovi raggruppamenti di truppe: “Belgorod”, “Kursk” e “Bryansk”. Il compito di queste nuove forze è di assicurare la “protezione dei cittadini e dei territori dagli attacchi dei veicoli aerei senza pilota e di altri mezzi d’attacco”.

La vendetta di Mosca

Il capo del Cremlino ieri, incontrando i rappresentanti dell’associazione delle vittime degli attacchi terroristici “Madri di Beslan”, ha confermato che la risposta di Mosca sarà dura e non ammetterà alcun tipo di concessione nei riguardi di Kiev. “Come abbiamo combattuto con i terroristi, ora dobbiamo combattere con coloro che hanno commesso crimini nella regione di Kursk, nel Donbass, in Novorossiya”, ha detto il presidente russo. “Proprio come abbiamo raggiunto i nostri obiettivi nella lotta al terrorismo, raggiungeremo i nostri obiettivi in questa direzione, nella lotta contro il neonazismo. E, ovviamente, puniremo i criminali”, ha continuato Putin.

L’obiettivo dello “zar”, ora, è capire quale possa essere la strada de seguire per continuare nei suoi due obiettivi: mantenere la pressione alta in Ucraina e respingere un’invasione che ha scatenato la sua ira ma anche l’imbarazzo di tutti gli apparati di Mosca. La situazione resta complessa per entrambe le parti in conflitto. E se sul campo di battaglia tutto lascia intendere che le condizioni possano rimanere così ancora a lungo, con i russi che avanzano in Donbass e gli ucraini che cercano di consolidare le conquiste ottenute nella scioccante e repentina invasione di Kursk, sul piano politico e diplomatico i negoziati – quantomeno per il momento – appaiono congelati. Ed è impossibile in questa fase pensare a nuove aperture.

L’escalation e la mediazione di Modi

Negli Stati Uniti, il New York Times ha pubblicato un’approfondita analisi spiegando che l’offensiva di Zelensky rischia soprattutto di provocare un’escalation, con il Cremlino che ora appare intenzionato ad aumentare l’impegno in Donbass e bloccare qualsiasi concessione nelle trattative con Kiev. Putin, spiegano le fonti del Nyt, adesso “non mira alla fine delle ostilità, ma alla vendetta”. E l’incursione di Kursk rischia dunque di essere una scommessa estremamente rischiosa per un esercito, quello ucraino, che deve comunque fare i conti con la necessità di un flusso continuo di aiuti occidentali (motivo per cui il 6 settembre si riunirà di nuovo il Gruppo di Contatto nella base di Ramstein, in Germania) e con una carenza di reclute ormai endemica. I canali diplomatici tra i due governi sembrano ormai interrotti, anche se alcune fonti dicono che il premier indiano Narendra Modi – atteso venerdì a Kiev – dovrebbe fare da mediatore tra Putin e Zelensky.

Ieri dall’Ucraina è arrivato un altro “schiaffo” nei confronti della Federazione: la messa al bando della Chiesa ortodossa legata al Patriarcato di Mosca. Elemento considerato dal Parlamento ucraino uno strumento di influenza del Cremlino. Per Zelensky, la decisione assunta dalla Verkhovna Rada, il Parlamento ucraino, è “una legge riguardante la nostra indipendenza spirituale”. Ma la replica dalla Russia è stata durissima. Per il Patriarcato si tratta di una vera e propria persecuzione. Mentre per la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, lo scopo della legge è “distruggere alla radice la vera Ortodossia canonica”. Un tema fondamentale per una Russia pervasa dalla narrazione del Cremlino sulla guerra culturale, l’identità e sull’unione del cosiddetto “Russkij mir”.