La guerra in Ucraina e gli scenari futuri. La guerra e il dibattito politico. E l’invasione “silenziata”: quella dell’Armenia. Il Riformista ne discute con il generale Giuseppe Cucchi. Generale della riserva dell’Esercito, già direttore del Centro militare di studi strategici, consigliere militare del presidente del Consiglio, rappresentante militare permanente dell’Italia presso Nato, Ue e Ueo, consigliere scientifico di Limes.

Dopo oltre 200 giorni di guerra, la ritirata dell’esercito russo sembra assumere sempre più i caratteri di una disfatta. Come la vede, generale Cucchi?
Noi militari diciamo che la difesa è soltanto uno stato temporaneo della guerra. Che ha senso unicamente se attraverso la difesa si guadagna il tempo necessario per cambiare i rapporti di forza e poi passare all’attacco. La guerra la vince chi attacca e non chi si difende. Chi si difende può spostare nel tempo una sconfitta e basta. Questo è un discorso che l’Ucraina ha capito, riuscendo a mettere insieme le superiorità che aveva e che sono parecchie.

Quali?
Conosceva il terreno. Aveva mobilitato tutta la sua popolazione per una guerra, cosa che la Russia non ha fatto. Si guarda sempre il rapporto fra i due Stati, facendo un conto di popolazioni. In realtà, da una parte c’è una mobilitazione per una guerra e dall’altra parte, quella russa, c’è qualcosa di estremamente ambiguo, che vuole risparmiare alla popolazione di essere realmente in guerra e quindi limita la mobilitazione soltanto a una parte del potenziale del Paese. E poi ci sono le armi che sono arrivate. A tutto ciò si aggiungono due grandi sorprese. La prima, come l’esercito russo non fosse quell’ “orso” temibilissimo che tutti pensavamo che fosse, ma avesse delle carenze molto gravi, prime fra tutte il comando, la dottrina e l’addestramento. Seconda cosa, che le armi dell’Occidente si stanno rivelando molto più performanti di quelle russe. L’Ucraina ha avuto tutti questi vantaggi. In più combatte sul proprio territorio, con soldati contadini in maggior parte. Il che significa con gente che conosce il territorio fino all’ultimo sentiero. Dall’altra parte, invece, ci sono dei soldati che non lo conoscono. C’è tutta una serie di elementi di superiorità che alla fine l’Ucraina è riuscita a sommare e li ha sommati molto bene in questa offensiva. Un’offensiva che rappresenta, per i risultati ottenuti sul campo, una grossa sconfitta per la Russia. Ma non dimentichiamoci che la Russia è grossa. La Russia è resistente. La Russia ha dimostrato in ogni occasione di avere la capacità di non abbattersi per un rovescio ma di saper lavorare per riprendersi. Cosa che non è da tutti.

Vale a dire, generale Cucchi?
Vede, ci sono Paesi per cui la sconfitta in una battaglia significa la sconfitta in una guerra. Pensi all’Italia. Con l’eccezione di Caporetto, che fu un caso contrario, è uno di quelli. Noi perdiamo ad Adua e consideriamo di aver perso la guerra, mentre gli inglesi perdono contro gli zulu in Sudafrica e questo serve solo a invelenirli e a farli continuare finché alla fine hanno perso una battaglia ma hanno vinto una guerra. La Russia è di questa seconda tempra. Può perdere battaglie ma è sempre la Russia a cui bisogna sempre fare attenzione. Speriamo che l’offensiva ucraina riesca a ottenere anche degli altri effetti e a non fermarsi. Io però sono convinto che adesso abbiano bisogno di un attimo di arresto, di consolidamento, per poi ripartire in qualche altra direzione, cioè nella zona di Odessa.

Su La Stampa, Anna Zafesova, che la realtà russa conosce come pochi altri in Italia, ha scritto: “Al padrone del Cremlino non restano molte scelte: o gioca il tutto per tutto schiacciando il bottone nucleare o inizia una de-escalation per cercare di salvare quel che resta del suo regime”. Che ne pensa?
Io penso che stia indicando unicamente due estremi e che in mezzo ci sia invece tutto un altro spazio, quello di cui parlavo in precedenza. Putin ha la possibilità di mobilitare di più e impegnare maggiormente la Russia. Ha la possibilità di riconoscere che si tratta di una guerra, una guerra che rischia di essere persa se non s’impegnano mezzi adeguati, e quindi trasformare progressivamente la Russia in un Paese in guerra. Quanto all’opzione nucleare, certamente è qualcosa che terrorizza tutti. L’opzione nucleare o qualcosa di molto simile, ad esempio l’attacco ad una delle centrali nucleari dell’Ucraina che provochi un incidente tipo Chernobyl. Ma questo mi sembrerebbe un atto suicida da parte della Russia perché nel momento in cui quella soglia venisse cancellata, non lo sarebbe solo per la Russia ma anche per tutto il resto del mondo. Passare al nucleare significa avere degli avversari che possono anche loro premere il bottone nucleare.

La guerra e il dibattito politico interno. Un tema drammatico, quello della guerra, trasformato in uno show mediatico condotto a colpi di spot propagandistici e di accuse e contro accuse su chi è più fedele alla Nato e chi è amico di Putin. Che giudizio dà di questo modo di affrontare un tema così forte e impegnativo?
Ne do un giudizio da un lato distaccato ma dall’altro lato ne sono un po’ scandalizzato. Così come sono scandalizzato dal modo in cui i partiti, tutti senza eccezione, stanno affrontando questa campagna elettorale relegando in seconda o terza fila problemi di politica estera che in realtà sono quelli che condizioneranno i prossimi dieci-vent’anni del nostro Paese. Il problema dei rifornimenti di energia, il problema di allineamento con le alleanze, il problema dei rapporti con i Paesi dell’Europa dell’est. Il problema di presenze straniere ostili nel Mediterraneo che diventano sempre più forti e via di questo passo. Tutto questo è estremamente secondario nel dibattito politico. Che nel suo complesso è qualcosa che si mantiene nella classica linea italiana. Non so se lei ci ha mai fatto caso ma nei rapporti internazionali, quando noi abbiamo dei governi di centrosinistra il multilaterale prevale sul bilaterale e nel multilaterale in primo luogo vengono le Nazioni Unite, in secondo l’Europa e in terzo luogo la Nato. Con la destra, invece, abbiamo il bilaterale che prevale sul multilaterale e nel multilaterale la Nato viene per prima, l’Unione europea per seconda e le Nazioni Unite non esistono. Ed è quello che in qualche modo sta succedendo pure adesso. Guardi il viaggio di Urso negli Stati Uniti per ricercare sul bilaterale, nell’ambito di una fedeltà atlantica passata come prima cosa, la più importante sul multilaterale, una condizione di maggiore forza per un accreditamento a Washington.

Giustamente l’Europa e l’Italia hanno sostenuto che nella guerra d’aggressione condotta dalla Russia contro l’Ucraina, occorreva schierarsi, anche con un sostegno in armamenti, con l’aggredito. Ma una situazione analoga la sta vivendo, nel disinteresse pressoché generale della comunità internazionale e dei media, l’Armenia.
L’Armenia è la vittima dimenticata da tutti. Ha avuto una sua Shoah, che è stata anch’essa dimenticata. Quanto all’accostamento con le vicende ucraine, va detto che sul fronte armeno le cose sono molto più complesse.

Perché?
Per una serie di motivi. Il primo è che non si sa bene chi abbia ragione. Se ha ragione l’Armenia o se ce l’ha l’Azerbaigian. È una situazione in cui non c’è stata una palese aggressione da una parte o dall’altra, ma è un classico discorso cresciuto intorno a minoranze confuse e a territori contestati. Una situazione nella quale tutte le verità sono falsità e viceversa, da ambedue le parti. E a complicare le cose c’è la Turchia. Parliamoci chiaro: la Turchia è un Paese Nato, un Paese in questo momento indispensabile per le possibilità di mediazione con la Russia. La Turchia mantiene il controllo degli stretti che consentono l’accesso o l’uscita dal Mar Nero. La Turchia potrebbe domani essere una spina nel fianco per tutti noi nel momento in cui decidesse di attivare la sua politica neo imperiale anche nei territori islamici dei Balcani. Il neo-ottomanesimo passa per il recupero da parte turca della “dorsale verde” balcanica. Questa necessità di mantenere dei buoni rapporti con la Turchia, per questioni che per tutti noi risultano prioritarie rispetto al conflitto fra l’Armenia e l’Azerbaigian, fa sì che quel conflitto venga cancellato. Nel momento in cui tu non lo rendi pubblico e non lo metti sulla tavola di tutti i cittadini con il giornale radio delle 13-13,30, quel conflitto finisce per non esistere, almeno nella coscienza collettiva.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.