Trumpolitics
La scelta di Meloni: mediare tra Trump e l’Unione Europea o appiattirsi sulle linee dei repubblicani
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Prima di capire fino in fondo cosa davvero vuole fare Trump, occorre del tempo per verificare il rapporto tra le sue parole e la realtà. Lo diciamo perché stando a qualche talk show televisivo come quello fatto da La7 con Floris e Giannini, sembrerebbe già scritto che ci troviamo di fronte a una versione moderna di Hitler, ma gli stessi, dopo le elezioni del 25 settembre 2020, ci avevano già spiegato che con Giorgia Meloni ci trovavamo di fronte a una versione femminile di Benito Mussolini. Quindi, le demonizzazioni provenienti da una parte della sinistra e dei media vanno prese cum grano salis.
Ciò non toglie affatto che una serie di dichiarazioni e anche di iniziative prese da Trump sono del tutto inquietanti. Ad esempio inquietante è l’amnistia data a coloro che nel 2020 assaltarono Capitol Hill, dando vita ad un autentico tentativo di colpo di Stato sostenuto dallo stesso Trump e che fallì per il lealismo democratico del vicepresidente Pence e di molti governatori repubblicani.
Il rilancio di un’Europa riformista
Ciò detto, però, riteniamo che sia il Trump innovativo, indubbiamente esistente, sia quello sovranista-isolazionista-autoritario, va affrontato con un forte rilancio di una Europa riformista qual è stata proposta nel piano Draghi che prevede enormi investimenti in infrastrutture, nell’industria e specialmente nella Difesa perché da questo punto di vista per l’Europa si è chiusa una fase nella quale tutto il ruolo della Difesa era attribuito agli Stati Uniti. Tutto ciò implica però l’assoluta necessità di scartare nettamente l’orgia di demagogia e di estremismo che vediamo emergere in una parte della sinistra italiana e ancor più della stampa (vedi Repubblica, La Stampa, Il Domani) e tutta l’area di talk show de la7 con la lodevole eccezione del telegiornale di Mentana. Ciò detto, però, rispetto a tutto ciò a nostro avviso la verifica pregiudiziale a tutto riguarda l’Ucraina nel senso che è decisiva una benintesa tutela della sua integrità territoriale e politica. Qualora infatti Putin sfondasse sulla Ucraina tutta l’Europa sarebbe a rischio: non a caso due Paesi tradizionalmente neutralisti come la Finlandia e la Svezia hanno aderito alla Nato. Su questo terreno va detto, però, che nel passato né gli USA di Biden, ne’ la Francia di Macron hanno brillato per intelligenza nel senso che hanno sostenuto l’Ucraina con una mano sola perché la loro filosofia era quella formulata da Macron secondo la quale non bisogna umiliare Putin: dopo di che questo Putin non umiliato ha bombardato in modo sistematico in questi mesi tutte le infrastrutture ucraine per fare in modo che gli ucraini affrontino l’inverno al freddo e al gelo.
La scelta politica di Giorgia Meloni
Ciò detto, è certamente giusto l’appello della Von del Leyen di un rilancio dell’Europa per fare i conti con la novità costituita da Trump, ma questo rilancio richiede, come abbiamo già detto, l’adozione del piano Draghi, il superamento della teoria Green accentuata in modo demenziale da Timmermans e anche sull’immigrazione il netto superamento del Patto di Dublino. Poi ovviamente c’è’ tutto quello che riguarda l’Italia: in primo luogo c’è il nodo costituito dalla scelta politica di fondo che deve fare Giorgia Meloni, che può scegliere il difficile ma ambizioso ruolo di mediazione dinamica tra Trump e l’Unione Europea oppure quello di appiattirsi sulle linee Trump-Musk ma questo, a nostro avviso, la porterebbe a un disastro politico di qui a uno-due anni.
Poi esistono una serie di altre questioni. Una riguarda il fatto che in primo luogo Calderoli deve prendere atto che la Corte Costituzionale ha dato via libera all’ipotesi della autonomia differenziata a condizione che in 7 punti decisivi la legge sia cambiata in modo profondo. L’altra faccia della medaglia è costituita dal salto di qualità che deve riguardare l’industria e i salari. Giustamente Orsini presidente della Confindustria ha sostenuto l’esigenza di un salto di qualità nella politica industriale funzionale all’aumento della produttività.
Il paradossi in Italia
L’altra faccia della medaglia su questo terreno è costituita dai salari troppo bassi, secondo alcuni partiti, in primis il Pd e il M5S, la questione andrebbe risolta attraverso il salario minimo. Però, da che mondo è mondo, la via maestra su questo terreno è costituita dalla contrattazione nazionale e articolata per settori e per singole fabbriche portata avanti dai sindacati. Ora in Italia da questo punto di vista ci troviamo in una situazione assolutamente paradossale: Landini, con Bombardieri al guinzaglio, punta invece al tanto peggio tanto meglio. Perché il suo obiettivo è quello che si scateni una rivolta sociale indotta da un crescente malcontento. Partendo da questa scelta politica finora la Cgil e la Uil non hanno concentrato affatto la loro attenzione sulla contrattazione sindacale (vedi contratto del pubblico impiego e contratto sui trasporti il cui mancato rinnovo comporta il fatto che ogni settimana, di venerdì, c’è’ uno sciopero che di fatto si risolve in un attacco alle condizioni di chi per lavorare deve servirsi dei mezzi di trasporto pubblico).
Tutto ciò significa una cosa sola dal punto di vista politico, che a Trump si può rispondere solo con una linea innovativa, garantista e riformista portata avanti, indipendentemente dagli schieramenti pregiudiziali, da tutte le forze che nel centrodestra, nell’esile centro e a sinistra si riconoscono in una linea di questo tipo.
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