È vero che Netanyahu ha un interesse proprio alla continuazione della guerra di Gaza? Sì. È vero che la guerra continua per l’interesse proprio di Netanyahu? No. Non è vero perché quell’interesse personale non basta a fare della guerra di Gaza la guerra di Bibi; e non basta perché né l’attacco del 7 ottobre, né i diversi fronti dispiegati da mesi contro Israele hanno qualcosa a che fare con il potere di Netanyahu e con le colpe indiscutibili che una buona maggioranza della stessa società israeliana imputa a quel provetto avventuriero.

Solo chi non conosce la storia di Israele trascura che tutte le responsabilità e persino gli sconfinamenti illeciti dei leader più discussi dello Stato ebraico – Begin, Rabin, Shamir, Sharon – non sono mai bastati a destituirne la leadership nel momento del bisogno: perché la soccombenza nelle guerre che fronteggiavano non avrebbe significato la fine di un regime politico, ma la fine del popolo di Israele.

La propaganda di Hamas

Ed è esattamente quel che succede, oggi, con la leadership di Netanyahu. Ammaccata per motivi risalenti e per ragioni supplementari proprio connesse alla gestione della guerra di Gaza, ma che agli occhi della società israeliana, anche la più avversa, riesce quasi a risplendere se a volerla annegare è il fiume di notizie false che dopo dieci mesi si ingolfa ora nella madre di tutte le panzane: e cioè che la tregua, se non addirittura la pace, è boicottata da Israele che continua a bombardare le scuole mentre Hamas, ragionevolmente, manda segnali di distensione.

La tragedia della scuola

Questa maestosa contraffazione della realtà – che non sarebbe necessaria se si trattasse semplicemente di contestare questa o quella scelta esecutiva israeliana – si è confezionata in modo esemplare l’altro giorno, con il pretesto dell’azione sul compound della scuola Al Taba’een, a Gaza. Un’altra tragedia, senza dubbio. Ma una deliberata strage di civili è una cosa; un’azione di guerra che fa morti civili è un’altra cosa. Alle 5,29 del mattino, poco dopo gli schianti, c’erano “oltre 100 martiri” certificati (alle 5,18 erano 40). I giornali, pressoché senza distinzioni, rilanciavano la presunta notizia nonostante le stesse fonti di Hamas, da ore, rivedessero al ribasso la cifra. Israele comunicava di aver attaccato quel sito per la presenza di miliziani, e indicava che 19 di essi sarebbero stati uccisi. Nelle ore successive (siamo a ieri) da fonte israeliana si segnalava che ulteriori accertamenti avrebbero fatto registrare l’uccisione di 38 miliziani.

Le accuse ai “guerrafondai”

Una situazione di (a dir poco) incertezza, che tuttavia non impediva a una schiera multinazionale di avventati dichiaratori di deplorare l’ennesima dimostrazione di pervicacia guerrafondaia di Israele: tanto più deprecabile, appunto, perché sconsideratamente interposta nel percorso di pace già colpevolmente compromesso dall’uccisione del notoriamente moderato Ismail Haniyeh. Il tutto, mentre si attende l’attacco iraniano che a questo punto (si può esserne certi), se avverrà, non potrà non essere giustificato anche dall’ennesima, deliberata “strage di civili” in una scuola di Gaza.