Scuola Mobile
La scuola rischia di perdere la scrittura ‘grazie’ all’intelligenza artificiale: “Salvare il fuoco e dialogare con ChatGpt”
Di recente ho dialogato per più di un’ora con Susanna Sancassani, docente di Teaching strategies nella Scuola di Dottorato del Politecnico di Milano. In relazione ad alcune sue ricerche, è oggi tra le voci più ascoltate sulle possibili ricadute dell’Intelligenza Artificiale sull’insegnamento. Le ho riportato l’esito di alcuni tentativi in aula, che sembrano contraddire una certa sua fiducia. Banale, è l’aggettivo che utilizzano spesso gli studenti, talvolta proprio i più bravi, per descrivere alcuni risultati di ricerca con l’IA. Lei non si è stupita. “L’IA risponde in modo banale quando le facciamo domande banali. Sa cosa sto notando con i miei studenti di dottorato? Che i più efficaci nell’uso di questi tool non sono i classici bravi, ma quelli che hanno più empatia e disponibilità al dialogo”.
Risultano vincenti, anche in questo campo, le cosiddette soft skills. “Chi è abituato a lavorare in modo individualistico, non sa cogliere gli elementi positivi dell’interlocutore, perché si pone subito in una posizione valutativa”. Decisiva, invece, è la capacità di dare una direzione al dialogo per tirare fuori il meglio. Quasi come fanno uno psicologo o un buon insegnante (il verbo “educare”, e-ducere, indica proprio questo “tirare fuori”). “Sa qual è uno dei percorsi potenzialmente più efficaci per imparare a utilizzare l’IA? Il teatro di improvvisazione, perché si deve partire dall’input che si riceve dall’altro attore e rilanciare su quello, senza concentrarsi sulle inesattezze”.
Ma come l’IA può concretamente aiutare un insegnante? “Le opportunità sono molteplici, ma il principale aiuto può venire per quelle che si definiscono ‘strategie di attivazione dell’aula’. Possiamo porgli utilmente domande del tipo: ‘Come posso attivare i miei studenti per trattare in modo attivo queste determinato contenuto?’. Ci sono prospettive interessanti per noi, perché l’IA è addestrata prevalentemente con data set di cultura anglosassone (Stati Uniti e Inghilterra) e in quel contesto sono prevalenti le strategie didattiche attive rispetto alla nostra tradizione scolastica. Ora finalmente possiamo fruirne anche nella nostra lingua”.
Resta però viva la grande domanda: questa continua richiesta di aiuto all’IA ci farà perdere qualcosa? “È una domanda urgentissima, da porre subito. Attenzione però, non dobbiamo chiederci se i nostri ragazzi la utilizzeranno o no, perché è assodato. Dobbiamo chiederci cosa possiamo salvare rispetto a ciò che rischia di perdersi, e farlo in modo attivo, non come divieto. Proprio su questo sarà decisiva la scuola”. In che senso? “Per esempio, se in questi venti anni avessimo colto prima il calo della capacità di lettura a seguito della digitalizzazione, avremmo potuto attivare, come dobbiamo fare, appositi spazi di lettura”. E ora cosa rischiamo di perdere? “La scrittura, tra le altre cose”. “Salvare il fuoco”, come già abbiamo scritto qui, sarà il grande compito della scuola. “Ma non in una prospettiva di retroguardia. Del resto si può imparare a scrivere anche provando a dialogare bene con ChatGpt”.
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