La scuola è lo spazio in cui la diversità genera ricchezza. Questa affermazione, che è diventata un ritornello ricorrente – Diversità è ricchezza – segna il motto della scuola inclusiva e, fortunatamente, segna anche un passo avanti decisivo nella cultura e nell’intelligenza del nostro sistema scolastico. Si è fatto moltissimo a favore degli alunni con bisogni educativi speciali (BES): con disabilità (legge 104), con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), e con altri bisogni. Per loro si creano progetti educativi personalizzati con strumenti compensativi e dispensativi, che favoriscono un reale apprendimento e un’acquisizione delle competenze. Il nostro sistema educativo è all’avanguardia e questo spesso non viene riconosciuto.

A questo dato però c’è il contraltare della poca formazione dei docenti, della non continuità degli insegnanti di sostegno per gli alunni con disabilità e in generale per tutti i docenti e per tutti gli alunni, per non parlare di classi con un numero elevatissimo di studenti (5755 lo scorso anno scolastico, secondo Orizzonte Scuola). La formazione dei docenti è sempre soggetta ad interpretazione: obbligatoria o consigliata? Il contratto nazionale non è chiaro e i sindacati fanno il loro giusto lavoro. La formazione è un investimento prioritario, ma di prioritario in Italia c’è così tanto che la parola stessa ha ormai perso il suo significato. Il risultato è il passare da una scuola inclusiva ad una scuola occlusiva: dalla scuola delle opportunità ad un barcamenarsi tra normative e programmazioni, tra burocrazia e confini da rispettare, tra famiglie che collaborano e famiglie che pretendono. Il diploma diventa diritto universale, senza comprendere realmente le reali aspirazioni e competenze di chi hai di fronte. Ogni studente è una storia a sé stante, ogni studentessa è un libro da scoprire, da sfogliare con cura. Ciascuno è una sfida, ma prima ancora una domanda. La sua domanda verso la vita, verso l’autorità, verso il senso delle cose.

Gli adolescenti, ma anche i bambini, sono portatori sani di “perché?”. Quella dei “perché?” non è una fase esclusiva dei primi anni dell’esistenza, ma una condizione permanente. Il bambino passa i primi due anni a scoprire la vita e poi si pone la domanda sul senso delle cose. La vita però la si scopre in ogni istante, ma si perde il desiderio di domandarne (ad alta voce) il senso e questa repressione della domanda porta alla rabbia, alla frustrazione e all’indifferenza. Il docente deve avere il coraggio, ma prima ancora gli strumenti, per accendere la domanda sul reale. Per capire che il primo insegnamento passa dall’ascolto. La scuola inclusiva è la scuola capace di anteporre al trapasso di nozioni e all’ansia di terminare il programma, la capacità di dire: “Tu, con le tue domande, sei parte di questo mondo, sei incluso in questo processo”.

La scuola diventa occlusiva quando chiude le porte, quando riduce lo studente alla prestazione. Quando l’orizzonte è l’esame di stato e non la maturità, intesa come acquisizione di un’identità consapevole. Questa non è una mancanza dei docenti, che spesso fanno del loro meglio, ma del sistema scolastico che, idealizzando una linea, non ne fornisce le possibilità reali, facendola diventare infine ideologia e quindi sterile. Se la diversità è ricchezza, lo è anche la domanda che ogni studente porta nel proprio vissuto. La scuola è degli intelligenti? Sì, degli intus legere, di quelli che sanno leggere dentro, anzitutto dentro sé stessi.

Don Matteo Prettico

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