Il sistema politico della Bosnia ed Erzegovina pone la rappresentanza etnica prima di tutte le altre considerazioni, concede prerogative ai tre grandi gruppi bosngacchi, croati e serbi (i “popoli costitutivi”) negate ad altri cittadini, e amplifica pertanto le divisioni etniche: così ha deciso la Corte europea dei diritti dell’uomo, sulla base della CEDU, con una recente sentenza.
Secondo la Corte di Strasburgo, tale sistema, risultato di un accordo di pace mediato dagli Stati Uniti che ha messo fine alla guerra in Bosnia del 1992-1995 (Accordo di Dayton) con la creazione di un regime altamente decentralizzato di condivisione etnica del potere, mina “il carattere democratico delle elezioni”.
In Bosnia ed Erzegovina c’è uno scontro in corso da anni tra quelle forze che vogliono creare uno stato europeo moderno ed inclusivo per tutti i cittadini e i nazionalisti che desiderano ulteriore segregazione e separazione etnica. La sentenza storica della Corte europea dei diritti umani ora dà sostegno a coloro che vogliono eliminare la discriminazione in Bosnia ed Erzegovina; la sentenza rifiuta la separazione delle persone sulla base di “gruppi etnici”.

La sentenza accoglie il ricorso di Slaven Kovačević, consulente del politico bosniaco croato Željko Komšić, contro l’elezione dei tre membri (un bosgnacco, un croato e un serbo) della Presidenza dello Stato in due unità elettorali separate. Finora, il membro serbo è stato eletto sul territorio della Repubblica Srpska, dove, dopo le pulizie etniche nella guerra (1992-1995,) i serbi bosniaci sono la netta maggioranza; glli altri due membri vengono eletti invece nell’altra entità, la cosiddetta Federazione, in cui bosgnacchi e croati sono la maggioranza. Per la Corte il fatto, che Kovačević vivendo a Sarajevo non può votare per un serbo per la Presidenza dello Stato, costituisce discriminazione.

La sentenza Kovačević della Corte EDU colpisce, in effetti, l’intera architettura della costituzione della Bosnia ed Erzegovina. Ciò è di enorme importanza perché rende necessarie riforme costituzionali e elettorali in Bosnia ed Erzegovina, ma dovrebbe anche risuonare nelle capitali chiave in Europa, ora di nuovo interessate dalla questione degli accordi di pace sostenibili in Europa e oltre.
In particolare, secondo la direzione esplicitamente indicata dalla stessa Corte, le future riforme costituzionali in Bosnia ed Erzegovina devono spostare gli equilibri verso un quadro basato sui diritti individuali. Non possono essere perpetuate per sempre le categorie etniche. Questo significa che gli accordi di pace imposti a Dayton – di cui la costituzione della Bosnia ed Erzegovina è un allegato – non sono politicamente o giuridicamente mantenibilisostenibili a lungo termine.
Questa è una considerazione importante, poiché Dayton con le sue strutture di Power Sharing (democrazia consciativa) è stato ripetutamente utilizzato come modello per il vicino Kosovo nella sua continua disputa con la Serbia; nel contesto dell’aggressione della Russia contro l’Ucraina; e anche dopo il più recente ciclo di violenze in Israele e in Palestina. L’accordo è stato anche invocato come un modello applicabile, in un momento o nell’altro, per risolvere ogni grande conflitto in Eurasia dal 1995.

Tali raccomandazioni ignorano sia gli aspetti profondamente discriminatori e illiberali dell’ordine costituzionale di Dayton, come attestato dalle successive sentenze della CEDU, sia la falsa stabilità che l’accordo ha creato alla Bosnia ed Erzegovina. In verità, è stato solo attraverso gli interventi dell’OHR (Alto Commissario della Comunità internazionale, dotato di poteri sostitutivi) che la Bosnia ed Erzegovina ha raggiunto un certo livello di stabilizzazione, cioè soltanto attraverso decisioni e misure imposte da un attore extra-costituzionale. L’attuale sistema di governance della Bosnia ed Erzegovina, quello creato a Dayton, ha evitato violenza, ma anche prodotto ulteriori scontri e crisi e incoraggiato le posizioni degli estremisti etno-nazionalisti che oggi formano un cartello di potere per controllare, rispettivamente, i “propri” gruppi.
I cittadini della Bosnia ed Erzegovina meritano un regime costituzionale razionale e liberal-democratico, che consenta loro di gestire finalmente le proprie vicende, come ritengono opportuno. Ma allo stesso modo, la comunità internazionale deve anche imparare che gli insediamenti costituiti in base etnica non producono risultati positivi di convivenza a lungo termine. Non possiamo replicare Dayton in Kosovo, in Ucraina o in Israele-Palestina perché, realisticamente, l’Occidente non ha la capacità di intervenire con attori extra-costituzionali come l’OHR che hanno il potere di imporre le loro decisioni. Per quanto tali poteri straordinari potrebbero essere giustificati dopo un conflitto. La continua dipendenza da questa particolare istituzione in Bosnia ed Erzegovina dimostra che la sostanza effettiva dell’accordo non è mai stata accettata e applicabile come meccanismo di governance.
La sentenza Kovačević è quindi un tempestivo ricordo che gli accordi di pace mediati a livello internazionale non possono trascurare o perfino abbandonare i principi democratici e i diritti umani per il bene di concessioni (temporanee) da parte delle parti in guerra. Devono creare percorsi credibili per l’inclusione democratica e civile; altrimenti non saranno sostenibili ma solo la base di nuovi conflitti.

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Nata a Trento, laureata in Scienze Politiche all’Universitá di Innsbruck, ho due master in Studi Europei (Freie Universität Berlin e College of Europe Natolin) con una specializzazione in Storia europea e una tesi di laurea sui crimini di guerra ed elaborazione del passato in Germania e in Bosnia ed Erzegovina. Sono appassionata dei Balcani e della Bosnia ed Erzegovina in particolare, dove ho vissuto sei mesi e anche imparato il bosniaco.