Nei Balcani occidentali e fra gli Stati candidati di quella regione, la Serbia è il paese più grande, in termini demografici ed economici, ed è fondamentale per la sua posizione geografica centrale oltre che per motivi storici. Un’analisi tecnica dello status attuale delle negoziazioni della Serbia con l’Unione europea sarebbe possibile, ma a differenza dell’Albania, non terrebbe conto delle numerose ed importanti implicazioni politiche che ci sono e che segnano profondamente tutto il processo. Per questo motivo, cerco di individuare di seguito le numerose sfide politiche che deve affrontare la Serbia, se vuole davvero diventare membro dell’Unione europea.

Partiamo proprio da questo: un sondaggio rilasciato dal Regional Cooperation Council dimostra che solo il 34% della popolazione serba è ancora a favore dell’accesso all’Unione europea. Il 34%… È un numero davvero basso, ma è anche facilmente comprensibile: da una parte i tempi molto lunghi per l’allargamento (fenomeno che si ritrova in tutti i Paesi dei Balcani), dall’altra, la vicinanza politica stretta alla Russia e due temi molto sentiti nel Paese: il genocidio di Srebrenica (che viene ancora negato dalla maggioranza dei serbi) e la relazione con il Kosovo. Ad ogni modo, il clima politico attuale è questo: poco entusiasmo, per usare un eufemismo.
La Serbia negli ultimi mesi ha avuto una sola priorità politica seria: destabilizzare le relazioni con il Kosovo. Allo stesso tempo, continuano le intimidazioni verso i giornalisti e continua la propaganda politica.

Cosa deve fare l’UE se la Serbia è il paese più avanzato dal punto di vista delle negoziazioni, ma anche quello più arretrato dal punto di vista politico e del rispetto dei diritti umani? È possibile accettare determinati comportamenti solo per poter vantare un successo nei Balcani? A mio parere, no. Non si possono fare compromessi per quanto riguarda il genocidio di Srebrenica; era un massacro sì, ma anche un genocidio, per via dell’intenzione specifica di eliminare fisicamente (parte di) un gruppo etnico come è stato constatato chiaramente dalla Corte internazionale di giustizia nel 2007. E per quanto riguarda il Kosovo, esso è indipendente dal 2008, e nonostante la Serbia ripeta che non è Kosovo ma Serbia, tale rivendicazione non è (più) ammissibile poiché il Kosovo al giorno di oggi è riconosciuto da 193 stati delle Nazioni Unite e da 22 dell’Unione europea. Finché queste due questioni non verranno apertamente riconosciute, l’Unione europea dovrebbe tirare un freno alle negoziazioni con la Serbia o almeno non dare attenzione a un autocrate, il Presidente Vucic, che mette al centro solo i propri interessi e non quelli del suo paese.

Perché a questo punto, e questo si è potuto osservare benissimo anche nella diatriba tra la Serbia e il Kosovo, è anche l’Unione europea che perde credibilità se considera autocrati come Vucic, in Serbia, e Dodik, in Bosnia ed Erzegovina. Il Kosovo ha fatto errori, va riconosciuto, ma la Serbia ha rapito due poliziotti kosovari e non li ha restituiti finché non è intervenuto il Primo Ministro ungherese Orban. E la reazione dell’Unione europea? È stata quella di punire il Kosovo imponendo sanzioni. Questo ha solo rafforzato il Presidente serbo Vucic. E questa la lezione che l’Unione europea deve imparare.

Se parliamo di Serbia, tuttavia, dobbiamo anche sottolineare gli aspetti positivi. Da alcuni mesi ci sono delle manifestazioni molto forti nei confronti del governo, nate sull’onda emotiva delle due stragi avvenute ad inizio maggio, in una scuola di Belgrado e in altri due comuni a circa 50 km dalla capitale, che hanno causato in totale 17 vittime. Con lo slogan “Serbia contro la violenza”, i manifestanti, tra cui esponenti di alcuni partiti di opposizione, chiedono – tra le altre cose – le dimissioni dei direttori del servizio televisivo pubblico, dei membri dell’organismo che regola i media elettronici, del ministro degli Interni Bratislav Gasic e del capo dei servizi segreti di sicurezza Aleksandar Vulin.

In conclusione, forse non tutto è perduto per la Serbia. Sicuramente però ci deve essere un forte cambio politico e il riconoscimento che non può continuare la propaganda sulla negazione del genocidio di Srebrenica e sul Kosovo, così come i giornalisti non devono subire intimidazioni. I diritti delle persone e lo stato di diritto devono essere rispettati, le regole democratiche devono essere rimesse al centro.

La Serbia ha bisogno di essere democratica. E noi abbiamo bisogno di una Serbia democratica nell’Unione europea, non di una autocrazia. Questo obiettivo si potrà ottenere sostenendo Vucic? A mio avviso, no. Sotto Vucic, la Serbia ha una posizione ambigua nei confronti della Russia e non partecipa alle sanzioni dell’UE. Aleksandr Vucic è ancora alleato di Putin e non si allinea sulle posizioni dell’UE.
Una Serbia democratica è possibile, ed è questo che dovremmo chiedere a questo Paese per poter entrare nell’Unione europea. Ma siamo ancora molto lontani per poter parlare chiaramente rispetto a queste questioni.

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Nata a Trento, laureata in Scienze Politiche all’Universitá di Innsbruck, ho due master in Studi Europei (Freie Universität Berlin e College of Europe Natolin) con una specializzazione in Storia europea e una tesi di laurea sui crimini di guerra ed elaborazione del passato in Germania e in Bosnia ed Erzegovina. Sono appassionata dei Balcani e della Bosnia ed Erzegovina in particolare, dove ho vissuto sei mesi e anche imparato il bosniaco.