Ripartire dagli stadi di proprietà
La Serie A sta diventando virtuosa ma la differenza con le altre leghe si sente
Non è soltanto una questione di soldi ma è inevitabile che lo scenario attuale implichi stravolgimenti importanti anche per la nostra Serie A. Il potere economico e contrattuale dei club italiani è evidentemente ormai ai minimi storici. A nulla è servito piazzare tre squadre italiane in tre diverse finali europee per restituire un po’ di forza o, perlomeno, un minimo di ossigeno economico al nostro calcio. Un tempo arrivare in finale di Champions avrebbe consentito di immettere soldi freschi nelle casse societarie, pronti ad essere reinvestiti nel mercato successivo.
Oggi no, nemmeno la stagione migliore, quella oltre le aspettative, può restituire competitività finanziaria. Negli altri campionati, in Premier, in Ligue 1 non mancano gli investitori, spesso Arabi, talvolta fondi Americani soggetti che, a prescindere dai risultati ottenuti, mantengono chiari e coerenti i propri orizzonti di ambizione. Il Chelsea, ad esempio, ha superato la soglia mostruosa di due miliardi di euro spesi in dieci anni per provare ad allestire una squadra competitiva, non da meno il City o il Psg. Ma se un tempo in serie A ci si poteva almeno accontentare di vecchi campioni pronti a regalare gli ultimi bagliori di una straordinaria carriera, come Ibrahimovc o Giroud ad esempio, oggi l’Arabia Saudita ha stravolto le regole. Ecco Cr7, Brozovic, Benzema, Koulibaly diventati una lista della spesa con offerte alle quali è difficile se non impossibile rinunciare.
A metterci il carico ci sono anche la Liga, la Bundesliga, la Ligue 1, tutti campionati più avanti di noi strutturalmente senza dimenticare la Premier con il caso Tonali. I 75 milioni di euro spesi dal Newcastle per il centrocampista rossonero lo rendono il settimo trasferimento più caro della storia della Serie A. Un quasi primato desolante se si pensa che davanti a Tonali, Higuain e Vlahovic a parte, tutti gli altri sono affari in uscita, venduti all’estero dal nostro calcio. Uno sbarco in Inghilterra quello di Tonali peraltro già fonte di critiche al giocatore che, sceso dall’aereo, ha dato l’impressione di essersi dimenticato in Italia almeno un sorriso di circostanza. I soldi non fanno la felicità, evidentemente, ma un campionato competitivo sì.
E di dollari, tanti ne hanno in Arabia ma anche in America, come dimostra il faraonico contratto a Lionel Messi da 60 milioni a stagione. In questo caso molto è dovuto alla capacità della patria del marketing e del merchandising di riunire soggetti multipli in una sola operazione, dimostrazione che dove non arriva la potenza economica arriva la capacità organizzativa. Tutti elementi che ancora mancano In Italia. La nostra Serie A sta diventando più virtuosa ed è un pregio ma anche un rischio. Il Napoli di De Laurentiis nella passata stagione sembrava essersi impoverito con addii dolorosi, subito dopo ha dimostrato sul campo di aver invece costruito una squadra in grado di riportare il tricolore a Napoli dopo 33 anni. Conoscenza del calcio e coraggio di rompere gli schemi sono diventati elementi fondamentali. Non può però bastare per far tornare la serie a globalmente competitiva. Strutturarsi è un dovere e principio base per evitare esperienze come quella della Cina.
La situazione politico finanziaria del Paese ha spostato o, in più di un caso, addirittura bloccato gli investimenti facendo uscire il calcio dai radar con la stessa rapidità con la quale i vari Lippi, Cannavaro, tanto per citarne alcuni, erano stati attratti. Proprio per questo è necessario che l’Italia faccia di più, abbandonando la tipica arte dell’arrangiarsi, sostituendola con un sistema che possa davvero consentirle di tornare a competere. Non bastano, ma sono necessari, gli investimenti nei settori giovanili, a muoversi dovrà essere anche la politica. Magari agevolando il mondo del pallone dal punto di vista fiscale, semplificando le burocrazie infinite evidenti nella costruzione di uno stadio di proprietà. Milan e Inter hanno lo scoglio San Siro da superare, orgoglio comunale ma ostacolo imprenditoriale. Roma e Fiorentina sono impantanate da anni in un percorso senza fine che sembra soltanto voler sfidare la pazienza di chi come Commisso a Firenze, Pallotta prima, Friedkin poi, a Roma vorrebbero soltanto investire per i rispettivi club.
Inutile parlare di potenziali speculazioni, i bilanci di Premier hanno dimostrato che gli stadi di proprietà non sono possibilità ma necessità per poter essere competitivi. Non un punto di arrivo ma un punto di partenza dove non serve soltanto la bravura nel trovare talenti ma la collaborazione di tutti, dei governi e delle istituzioni. Un modo per far tornare un intero paese, l’Italia, attrattivo anche attraverso la serie A e non soltanto un mesto, triste punto di passaggio fino alla prossima offerta del ricco calcio estero.
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